domenica 31 luglio 2016

A settembre parte il piano anti povertà del Governo, ecco chi potrà richiederlo

Il primo intervento strutturale contro la povertà predisposto dal Governo di Matteo Renzi sarà finanziato con 750 milioni di euro che saliranno ad un miliardo nel 2017, ad usufruirne saranno oltre 200 mila famiglie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da cislbrescia.it
Il Sia, il Sostegno per l’inclusione attiva, è il piano di contrasto della povertà previsto dal Governo di Matteo Renzi. Si tratta di un sussidio economico per le famiglie più povere che riceveranno mediamente 320 euro al mese. Il contributo è legato ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa che dovrà essere predisposto dai Comuni oppure dai servizi territoriali come i Centri per l’impiego, i Servizi sanitari, le Scuole ed il Terzo settore.
Il Governo ha stanziato 750 milioni di euro per il 2016 che saliranno a un miliardo dal 2017. Potranno accedere al contributo circa 200 mila nuclei familiari composti da 500 mila minorenni, per un totale di circa 1 milione di persone. Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, lo ha definito un intervento ‘ponte’ in attesa dell’approvazione della legge delega sulla povertà prevista per i prossimi mesi.
Giuliano Poletti - Foto da ansa.it
Ecco i requisiti e le modalità per usufruire del contributo.
I tempi. Dal 2 settembre i cittadini interessati potranno fare richiesta presentando al proprio Comune il modulo che sarà predisposto dall’Inps. Il contributo verrà erogato entro due mesi. Entro i successivi 60 giorni l’ente pubblico dovrà predisporre i progetti personalizzati anche se nella prima fase l’obbligo riguarderà solo il 50% dei richiedenti.
Requisito Isee. Per poter accedere al contributo occorre un Isee uguale o inferiore a 3000 euro. Potrà fare richiesta il cittadino italiano o comunitario e lo straniero con permesso di soggiorno. E’ necessaria la residenza in Italia da almeno due anni. Inoltre, è obbligatoria la presenza nel nucleo familiare di un minore o di un disabile oppure di una donna in stato di gravidanza accertata, in quest’ultimo caso la domanda non potrà essere presentata prima di 4 mesi dalla data presunta del parto e deve essere corredata da documentazione medica.
Foto da percorsi.social.it
Esclusi. Sono esclusi dal Sia coloro che già beneficiano di trattamenti economici previdenziali che superino l’importo di 600 euro al mese e chi percepisce indennità di sostengo al reddito come la Naspi, l’Asdi, ecc.. Inoltre, i componenti del nucleo familiare non potranno possedere autoveicoli immatricolati per la prima volta nei 12 mesi precedenti la domanda con una cilindrata superiore a 1300 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc immatricolati nei tre anni precedenti la richiesta del contributo.
Selezione in base ai bisogni. Poiché la platea dei nuclei familiari con un Isee di 3000 euro è molto ampia, il contributo non potrà essere assegnato a tutti i nuclei famigliari. Sarà necessaria una selezione. I beneficiari dovranno ottenere un punteggio di valutazione dei bisogni uguale o superiore a 45 punti. Questi saranno attributi in base a diversi indicatori come i carichi di famiglia, la situazione economica, il numero di figli minorenni, specie se con un età fino a tre anni. Ed ancora, se nel nucleo familiare lavoro un solo genitore, se ci sono disabili o soggetti non autosufficienti. Tutti i requisiti sono già presenti nella dichiarazione Isee ed il punteggio massimo attribuibile sarà di 100 punti.


martedì 26 luglio 2016

Rai: stipendi d’oro per non fare nulla

Sono novantaquattro i super manager e giornalisti che prendono ciascuno oltre 240 mila euro l’anno, tra loro sono diversi coloro che non svolgono alcun incarico

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Fabrizio Maffei, Carmen Lasorella e Francesco Pionati
Foto da liberoquotidiano.it
Il Governo obbliga i cittadini al pagamento del canone nella bolletta della luce elettrica, mentre la Rai eroga stipendi d’oro a decine di dirigenti e giornalisti, in alcuni casi l'indennità è corrisposta per non fare nulla. Novantaquattro persone su tredicimila dipendenti, cioè lo 0,7%, superano il tetto imposto ai manager pubblici di 240 mila euro, il costo totale per l’azienda pubblica è di 21.984.483,657 euro l’anno. Tra questi, 12 dirigenti e 6 giornalisti percepiscono, da ‘mamma rai’ uno stipendio di oltre 300 mila euro l’anno.
Il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto
Foto da ilpost.it
Tra i super ‘paperoni’ stipendiati a tempo interminato ci sono quelli che attualmente sono senza un incarico preciso come gli ex direttori generali Lorenza Lei (243 mila), Alfredo Meocci (240 mila), l’ex direttore di rai Tre Andrea Vianello (320 mila) e di Nuovi Media Pietro Gaffuri (242 mila), l’ex responsabile delle risorse umane Valerio Fiorespino (303.678 euro), il condirettore di Rai International Sandro Testi (231.119 euro) l’ex direttore del Tg2 Mauro Mazza (340 mila). Ed ancora, i giornalisti Anna La Rosa (240 mila), Fabrizio Maffei (240 mila), Carmen Lasorella (204 mila) e Francesco Pionati (203 mila).

Anna La Rosa - Foto da tvblog.it
A proposito del tetto dei 240 mila euro applicato ai manager pubblici, l’ex conduttrice di ‘Telecamere’, Anna La Rosa, in un’intervista rilasciata a Repubblica.it ha dichiarato: ’Il tetto per gli stipendi di Rai? A me è stato applicato ed è ancora in vigore.  E visto che la Rai si è adeguata in ritardo alle nuove norme, sto restituendo quello che ho guadagnato in più per circa un anno. Ogni mese restituisco 1000 euro netti, più di 20mila euro lordi l'anno, ne avrò ancora per un anno. E per fortuna che superavo di poco i 240mila’.


giovedì 21 luglio 2016

Il Nord paga più tasse, ma ad essere povero è il Sud

Il peso delle tasse grava soprattutto sui cittadini del Centro e del Nord Italia, ma il rapporto pubblicato dalla Cgia di Mestre evidenzia anche il notevole divario economico con il Meridione

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da it.paperblog.com
Nel Sud dell’Italia si pagano meno tasse rispetto al Centro-Nord, a sostenerlo è la Cgia di Mestre. Secondo il rapporto pubblicato dell’associazione degli artigiani veneta, le entrate tributarie pro capite ammontano a un valore medio di 10.229 euro nelle regioni settentrionali, al Centro il gettito medio è di 9485 euro, mentre l’importo scende a 5.841 euro al Sud.
Per Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, il motivo è il seguente: ‘Come stabilito dall’articolo 53 della nostra Costituzione tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Appare evidente  che i territori più ricchi del Paese versano di più di quelli che lo sono meno e questo  giustifica il forte divario territoriale che emerge in questa analisi. Va altresì ricordato che laddove il reddito è più alto, il gettito fiscale è maggiore e, in linea di massima, anche la quantità e la qualità dei servizi erogati sono più elevati’.
Foto da fiscooggi.it
La regione che versa più tasse è la Lombardia (11.284), seguita dal Lazio (10.426) e dal Trentino Alto Adige (10.320). In fondo alla classifica ci sono la Campania con 5.854 euro pro capite, la Sicilia con 5.556 euro e la Calabria con 5.183. La media nazionale è di 8.572 euro per abitante.
Lo squilibrio tra il Centro-Nord ed il Sud dipende da diversi fattori, come segnala la stessa Cgia. Ecco alcuni dati. Il 45,7% della popolazione italiana (60,8 milioni) risiede al Nord, mentre al Sud è del 34,4%. Il 51 per cento degli occupati, che in tutto sono 24,3 milioni, lavora al Nord e solo il 27,3% al Sud.  La ricchezza annua totale è di 1.612 miliardi, il 55,2% è prodotta al Nord e, meno della metà, il 22,8%, al Sud.
Foto da ilgiornale.it
La parte del leone nella distribuzione del gettito la fa lo Stato con l’81,5 per cento del totale, alle Regioni va il 10,5% e agli altri Enti locali il 7,9%. La pressione fiscale è scesa al 42,8%, con una diminuzione dello 0,7%.
Nel 2016 il fisco – aggiunge Paolo Zabeo - ci concede una tregua. In attesa della riduzione dell’Ires dal 2017 e nella speranza che il Governo mantenga la promessa di abbassare l’Irpef dal 2018quest’anno le famiglie beneficiano, in particolar modo, dell’abolizione della Tasi sulla prima casa che ci fa risparmiare 3,6 miliardi di euro di tasse’.


sabato 16 luglio 2016

#Buonascuola: sanato vulnus durato 23 anni, ma che 'tristezza'

Oggi, 16 luglio 2016, è stato sanato un vulnus che durava da tanto, troppo tempo, ma per tanti professori e professoresse il futuro sarà ancora precario ed incerto

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da blastingnews.com
Era il 1993 quando per la prima volta varcai come docente l’ingresso di una scuola pubblica. Davanti all’entrata, affollata dai ragazzi che attendevano, c’era una collega che vedendomi arrivare si sorprese e mi fece accedere all’interno della scuola con una certa riluttanza e curiosità. Aveva ragione, tutto sembravo tranne un insegnante di discipline giuridiche ed economiche. La mia ritrosia ad indossare indumenti diversi da una ‘polo’ e dai jeans mi è rimasta sino ad oggi, ma alla collega devo essere sembrato un giovane fuori posto e fuori luogo.
Era il giorno della prima prova degli esami di Stato, allora si chiamavano di maturità, di un Istituto tecnico per geometri. Il docente nominato aveva rinunciato ed il Provveditore dovette scorrere la graduatoria dei supplenti per nominare un sostituto. Mi ritrovai cosi a pochi mesi dall’esame di abilitazione (superato senza tante difficoltà, allora si faceva sulla disciplina di competenza) a giudicare dei ragazzi che in alcuni casi conoscevano gli argomenti delle mie materie quasi meglio di me.
Foto da cobastorino.it
Allora la prova orale dell’esame si svolgeva su due discipline, una scelta dal candidato e l’altra dalla Commissione. Dovevamo esaminare gli alunni di una scuola pubblica e di una privata. Questo complicò il mio lavoro perché quelli della scuola privata avevano svolto il programma di quarta. Per la ‘superficialità’ con cui aveva lavorato il collega di ruolo dovetti districarmi con questa grave ‘incongruenza’ didattica e con i programmi di tre discipline: Diritto civile, Diritto pubblico e Scienza delle finanze.
Inoltre, i commissari interni ed altri due esterni erano piuttosto diffidenti con i giovani docenti che facevano parte della Commissione, uno di questi ero io. Ed avevano ragione ad esserlo, non ci misero troppo a capire che non avrei accettato ‘compromessi’ o ‘raccomandazioni’. E così fu, molti ragazzi superarono brillantemente l’esame ma cinque della scuola privata furono ’bocciati’, fu doloroso ma non fu possibile fare diversamente.
Il Presidente della Commissione apprezzò molto la meticolosità e la serietà con cui svolsi il mio lavoro al punto che mi propose di chiedere il trasferimento nella sua scuola a Varese. Non ebbi dubbi, non volevo lasciare la famiglia e gli affetti e dissi di no. Oggi quella situazione potrebbe verificarsi di nuovo e, stavolta, non potrei dare la stessa risposta. Allora c’erano delle prospettive, ora non più.
Foto da blastingnews.com
Dopo 23 anni passati nelle scuole più disagiate e, spesso, nelle classi e con gli alunni più ‘problematici’, ho un lavoro certo. Viene sanato un vulnus che durava da tanto, troppo tempo. Ed è stato emozionante vedere la felicità negli occhi di tanti colleghi precari, anche loro con tanti anni di contratti a tempo determinato. E non capisco i tanti insegnanti di ruolo che criticano la legge sulla ‘Buona scuola’ che ha posto rimedio ad una situazione paradossale e senza sbocchi certi per decine di migliaia di colleghi. Certo il legislatore poteva intervenire prima e meglio, ma quel provvedimento ha fatto tanto.
In questa calda ed afosa giornata di luglio passo di ruolo eppure in me c’è un po’ di 'tristezza'. Sì, ora ho la certezza di percepire lo stipendio il 23 di ogni mese, ma è stata comunque una sconfitta, troppo tempo è trascorso da quel giorno del 1993. E, poi, non riesco a gioire sapendo che tanti professori e professoresse che conosco da anni non possano farlo. Sono colleghi precari (tanti, alcuni lo sono da due decenni) che hanno deciso di non accettare l’immissione in ruolo per non separarsi dalla famiglia e dagli amici e, quindi, di rimanere nel limbo dell’incertezza che tra qualche giorno diventerà ansia nell’attesa di un nuovo incarico che non è detto ci sarà. 

domenica 10 luglio 2016

Referendum sulla riforma costituzionale, ecco le ragioni del Si e del No

Fra circa tre mesi saremo chiamati a confermare o bocciare la riforma costituzionale, ma molti italiani non ne conoscono i contenuti. Vediamo, in sintesi, le principali ragioni per votare Si e quelle per il No  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da gonews.it
La riforma costituzionale è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati il 12 aprile scorso, ma molti elettori non sono informati sulle modifiche previste dal testo di revisione costituzionale e sui motivi politici ed istituzionali che hanno indotto il Parlamento ad approvare la legge. E’ opportuno, quindi, ricordare le principali ragioni per votare Si e quelle per il No sul referendum confermativo che si terrà in autunno.
Ecco le ragioni per votare Si:
1. Bicameralismo perfetto. Il primo motivo per votare Si è l’abolizione del bicameralismo perfetto, vale a dire del meccanismo che obbliga i parlamentari ad approvare due volte lo stesso disegno o proposta di legge, dilatando così i tempi di entrata in vigore della nuova normativa.
2. Fiducia. Il voto di fiducia al Governo sarà dato solo dalla Camera dei deputati, l’obiettivo è semplificare i tempi di formazione ed entrata in carica dell'Esecutivo.
3. Democrazia diretta. La riforma incrementerà gli strumenti di democrazia diretta introducendo il referendum propositivo e modificando il quorum per quello abrogativo.
4. Costi politica. Caleranno i costi della politica. I senatori si ridurranno da 315 a 100 e sarà abolito il Cnel (Consiglio nazionale per l’economia e per il lavoro).
5. Decreti legge. Sarà limitato il ricorso ai decreti legge.
Foto da gdc.ancitel.it
6. Decentramento legislativo. Le materie strategiche come trasporti ed energia torneranno di competenza del Parlamento e si ridurranno le liti tra Stato e Regioni, sarà compito del Senato dirimere tali controversie.
7. Nessuna deriva autoritaria. La vittoria del Si rafforzerà la capacità di decisione del Governo, ma non ci sarà nessuna deriva autoritaria perché rimarranno i contrappesi che limitano reciprocamente i tre poteri: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario.
Ecco le ragioni per votare No:
1. Il bicameralismo rimarrà. Cambieranno le competenze delle due Camere, ma esse continueranno ad esistere ed a legiferare in comune su diverse materie. Non è vero che i ritardi sull’approvazione delle leggi sono determinati dalle norme costituzionali o regolamentari, ma essi dipendono dalla volontà politica delle maggioranze parlamentari. Inoltre, il Senato dovrà essere consultato su diverse leggi, come quella di bilancio.
2. Riduzione costi limitata. I risparmi sarebbero limitati: circa 50 milioni di euro l’anno, ovvero il costo di un F35 ordinato dal Ministero della difesa. La struttura del Senato rimarrà uguale. Il numero dei deputati non cambierà, essi rimarranno 630.
3. Firme per i referendum e le leggi di iniziativa popolare. Le firme per la richiesta dei referendum abrogativi saliranno da 500 mila a 800 mila. Per le leggi d’iniziativa popolare passeranno da 50 mila a 150 mila.
4. Italicum e premio di minoranza. La legge elettorale, l’Italicum, è strettamente connessa alla riforma costituzionale. Pertanto se una lista supererà il 40% dei voti otterrà il premio di maggioranza, ma anche nel caso di successo nel ballottaggio. Saremo governati da una minoranza.
5. Disegni di legge. Il Governo, avendo una corsia preferenziale sui disegni di legge, monopolizzerà l’attività legislativa del Parlamento.
6. Decentramento legislativo e contenziosi. La modifica del Titolo V della Costituzione ridurrà il decentramento legislativo. Aumenteranno i contenziosi tra Stato e Regioni e se ne creeranno di nuovi tra Camere dei deputati e Senato.
7. Democrazia e libertà di voto. La riforma non è stata condivisa da tutte le forze politiche. Ed è allarmante per la tenuta delle istituzioni il fatto che saranno modificati 47 articoli della Costituzione con una maggioranza risicata. Il referendum non inciderà sulle sorti del Governo. Il voto sulla modifica della Costituzione non dovrà essere strumentalizzato a fini politici.

sabato 2 luglio 2016

‘Italicum’, ‘Porcellum’ o ‘Legge truffa’, lo scopo è sempre lo stesso: garantire il ‘Potere’ alle élites politiche ed economiche

La classe dirigente dei Paesi occidentali di fronte alla crisi di rappresentatività dei parlamenti nazionali per mantenere il ‘Potere’ adattano a loro piacimento i sistemi elettorali 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

1953 - Foto da ilquotidianoitaliano.com 
Era il 31 marzo del 1953 quando la cosiddetta ‘Legge truffa’ fu promulgata. In vigore per le elezioni politiche del 3 giugno di quello stesso anno non produsse nessun effetto, perché la coalizione vincente non raggiunse il 50 più uno dei voti validi, risultato che avrebbe consentito alla Democrazia cristiana ed ai suoi alleati di ottenere il 65% dei seggi della Camera dei deputati. Quella legge elettorale fu abrogata l’anno dopo, il 31 luglio del 1954. Da allora e per i successivi venticinque anni è rimasta in vigore la legge elettorale che prevedeva un sistema proporzionale ‘puro’.
Lo scopo della ‘Legge truffa’ era di garantire la 'governabilità', cioè assicurare al Paese dei Governi stabili, in quanto i suoi fautori non ritenevano possibile allargare l'Esecutivo alle forze politiche di Destra (Msi) e di Sinistra (Psi e Pci).
Roberto Calderoli (foto da il giornalettismo.com)
Negli ultimi settant’anni sono stati adottati diversi sistemi elettorali. Dal 1946 e per oltre quarant’anni è rimasto in vigore, con la sola parentesi della ‘Legge truffa’, il sistema proporzionale 'puro'. Quel sistema, sotto la spinta di ‘Tangentopoli’ e dei referendum abrogativi, è stato modificato nel 1993 con la legge Mattarella, un sistema elettorale misto. Sostituito, a sua volta, nel 2005 con la legge Calderoli, definita dallo stesso promotore una ‘porcata’, che introdusse le liste bloccate ed un premio alla coalizione vincente.
Ora l’Italicum, il nuovo sistema elettorale voluto nel 2015 da Matteo Renzi, dalla maggioranza del Partito democratico e da una parte del Centrodestra, che ha lo stesso obiettivo della ‘Legge truffa’: garantire alla lista vincente, al primo o al secondo turno, la maggioranza in Parlamento (54%) e, quindi, consentire la ‘governabilità’. La principale differenza rispetto a sessantatre anni fa è che allora ad avvantaggiarsi era la coalizione, oggi sarebbe la lista. Il problema non sono più le ali estreme del sistema politico (Destra e Sinistra), ma si vuole impedire che i piccoli partiti di qualunque orientamento ideologico possano condizionare l’attività del Governo.
Maria Elena Boschi e Matteo Renzi (foto da il giornalettismo,com)
In un mondo globalizzato l’esigenza di prendere decisioni con rapidità e senza compromessi è legittima, ma essa comporta alcuni rischi. Il pericolo maggiore è che una sola forza politica possa conquistare e mantenere il potere anche se nel Paese ha un consenso limitato. Questa è una situazione che si è già verificata per l’elezione dei Sindaci e dei Governatori. Rosario Crocetta in Sicilia, ad esempio, è stato eletto con circa il 30% dei voti che corrisponde a circa il 15% degli aventi diritto. Questo significa che l’ex sindaco di Gela è diventato presidente della Regione con il consenso di poco più di un siciliano su dieci.
Tuttavia, il potere degli amministratori degli Enti locali è bilanciato da maggioranze assembleari o consiliari poco coese. Il sistema è, in sostanza, equilibrato. L’Italicum invece è strettamente legato alla riforma costituzionale approvata di recente dal Parlamento. Le due leggi danno al Governo ed al suo leader un potere quasi assoluto sulla composizione della lista elettorale ed un potere eccessivo sul Parlamento e sul Governo, da qui i dubbi di molti politici e costituzionalisti.
I sistemi elettorali con premi di maggioranza e l’astensionismo elettorale stanno depauperando uno dei principi fondamentali delle democrazie moderne: il vincolo del mandato politico e, quindi, della rappresentanza parlamentare. Le forze politiche tradizionali non riescono più a cogliere gli inputs che vengono da una parte consistente della società. I populismi che si stanno affermando nel mondo occidentale sono espressione di questo malcontento. Da qui le modifiche ai sistemi elettorali. Lo scopo delle élites politiche ed economiche è, quindi, sempre lo stesso: conquistare o mantenere il potere anche se il consenso tra i cittadini è ormai ridotto ai minimi termini.