AMBIENTE

 

sabato 26 agosto 2023

I super ricchi sono anche i più grandi inquinatori

Più si è ricchi, più si inquina e quindi più si deve pagare di tasse per combattere i cambiamenti climatici

di Giovanni Pulvino


Neymar (foto da it.eseuro.com)
Secondo i dati della World Inequality Lab, entità gestita dall'E'cole d'économie di Parigi e dall'università di Berkeley, in California, le differenze nelle emissioni di CO2 delle fasce più facoltose e quelle più povere sono enormi.

L’1% dei super ricchi inquina 20 volte di più del resto della popolazione. Il 10% più benestante ha un impatto del 50% sul totale delle sostanze inquinanti emesse nell’ambiente.

Auto di grossa cilindrata, frequenti viaggi in aereo, abitazioni grandi, elevato consumo di beni e servizi, risparmi investiti in attività che emettono CO2 sarebbero le principali motivazioni.

Per il trasferimento in Arabia Saudita del calciatore Neymar la società l’Al-Hilal Saudi Football Club ha inviato un Boeing 747 ed ha sostenuto un costo di 23.000 euro l’ora. Il viaggio è durato sei ore. Un jet privato avrebbe emesso 12.000 Kg di CO2, ma con un Boeing l’inquinamento è stato 20 volte tanto.

Non solo, c’è anche un importante conseguenza di carattere sociale da considerare. A pagare gli effetti dei cambiamenti climatici sono soprattutto i ceti meno abbienti. Più le persone sono povere, maggiore è l’impatto dei costi energetici sul loro reddito.

Ridurre le diseguaglianze prendendosi cura dell’ambiente non è una banalità.

È necessario un cambio di paradigma. Da un’economia lineare è necessario passare ad un’economia circolare ed ecocompatibile. Aiuto umanitario e sviluppo sostenibile devono essere i principi base delle nuove politiche economiche.

Con i disastri dovuti al riscaldamento climatico mettere una parte della ricchezza posseduta a disposizione di azioni al servizio del clima non è una proposta da rigettare. L’idea sarebbe quella di introdurre una tassa progressiva sulla CO2. La motivazione è semplice: più si è ricchi, più si inquina e quindi più si deve pagare di tasseL’imposizione deve colpire i benestanti, ma anche chi inquina.

Questa proposta è stata discussa all’ultimo forum economico mondiale di Davos. Un gruppo di 200 milionari ha chiesto di essere tassato di più ‘per il bene comune’.

E se lo dicono loro i governi cosa aspettano ad attivarsi?

venerdì 25 marzo 2022

‘I soldi per le armi li hanno trovati subito’

Non vi stiamo chiedendo il futuro. Stiamo venendo a riprendercelo’, gridano e scrivono nei loro cartelloni i giovani di Fridays for future che ieri hanno manifestato nelle piazze italiane

di Giovanni Pulvino

Foto da fridaysforfutureitalia.it
Ieri nelle città italiane decine di migliaia di ragazzi e ragazze hanno manifestato per chiedere soluzioni energetiche concrete e per fermare la guerra in Ucraina.

Questa è la prima iniziativa globale del 2022. I giovani tornano in piazza e agli obiettivi ‘vecchi’ se ne sono aggiunti di nuovi.

Meno fondi per le guerre e più risorse per la transizione ecologica. Ed ancora fermare la guerra in Ucraina e tutti gli altri conflitti che ci sono nel mondo.

‘Torniamo in piazza per la giustizia climatica e ambientale, contro ogni guerra e contro la crisi climatica scendiamo nelle piazze di tutto il mondo poiché crediamo che il capitalismo sia il filo rosso che tiene insieme pandemie, guerre e crisi climatica. Questo modello di sviluppo capitalistico non fa altro che dividerci, mentre continua ad avvelenare e devastare i nostri territori’, sostengono i promotori dell’iniziativa. Un ulteriore aumento delle temperature ci costringerà a lottare per le scarse risorse rimaste come già avviene nel Sahel, dove i cambiamenti climatici stanno provocando numerose guerre per l'acqua. Intanto, ‘l’Unione europea ha pagato 15 miliardi di euro alla Russia dall’inizio della guerra per acquistare combustibili fossili’. 

I Governi devono trovare soluzioni ‘che mettano al centro le persone e non più le tasche e i portafogli di pochi’, sostiene Adele Furnari di Fridays for future Italia.

La transizione ecologica è necessaria adesso.

‘Ci ribelliamo a un sistema che allarga la forbice tra i ricchi ed i poveri’un sistema economico che ‘causa guerre e conflitti. Un altro mondo è ancora possibile ma sta a noi costruirlo, partendo dalla pace e dalla giustizia, climatica e sociale’.

Fonte fridaysforfutureitalia.it

mercoledì 23 giugno 2021

Recovery plan, ecco come utilizzare i finanziamenti

Sarà realizzato a Ragusa il primo progetto di transizione energetica nel settore dell’agricoltura, un esempio concreto su come utilizzare le risorse del Recovery plan valorizzando le imprese del territorio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ragusanews.com

Il primo progetto di autoconsumo collettivo nell’agricoltura sarà realizzato in Sicilia, a Ragusa. Il piano prevede la realizzazione di un parco fotovoltaico della potenza di 200kw e della piattaforma tecnologica per la gestione della comunità energetica.

La principale caratteristica dell’impianto sarà la condivisione tra un gruppo di aziende attive nel settore agricolo. Le piccole e medie aziende sono guidate da La Mediterranea Società Consortile Agricola. Il Consorzio è costituito da una pluralità d’imprese che operano nel territorio e che potranno condividere virtualmente i propri consumi di energia, ottenendo nello stesso tempo incentivi statali ventennali che saranno redistribuiti tra tutti gli iscritti.

L’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico sarà utilizzata al 100% dalle aziende che fanno parte del Consorzio. Grazie all’impianto sarà evitata l’emissione di 121 tonnellate di CO2 l’anno. Questo consentirà di ridurre significativamente le emissioni di gas serra a tutto benefico ambientale ed economico del territorio.

Enel x metterà a disposizione le proprie tecnologie e le proprie infrastrutture per supportare la transizione energetica delle imprese e la loro sostenibilità. Il piano sarà finanziato dalla locale Banca Agricola Popolare.

Quella ragusana è la prima comunità di autoconsumo collettivo operativa in Italia nel settore dell’agricoltura. Un esempio replicabile su tutto il territorio nazionale. Un’iniziativa che potrebbe consentire alle Piccole e Medie imprese la transizione energetica e la crescita della competitività.

Utilizzare fonti energetiche e materiali rinnovabili, prolungare la vita utile dei prodotti, creare piattaforme di condivisione, riutilizzare e rigenerare prodotti o componenti, ripensare i prodotti come servizi’, si legge sul sito di Enel x. Ed ancora: ‘Un nuovo modello di produzione e consumo che conduce verso uno sviluppo sostenibile e rappresenta per le aziende una straordinaria opportunità in termini di competitività e innovazione, creando valore tanto per le imprese quanto per i loro clienti’.

Economia circolare e sostenibile, investimenti nel Mezzogiorno ed incentivi alle imprese che operano sul territorio. Il piano di transizione energetica che si realizzerà a Ragusa è un modo intelligente di investire risorse e competenze. Un progetto concreto su come devono essere utilizzate le risorse del Recovery plan e non solo.

Non è la prima volta che succede, ma è un’opportunità che la Sicilia ed il Sud non possono e non devono sprecare.

Fonte enelx.com

martedì 31 marzo 2020

Bonus una tantum di 600 euro al via, ecco come richiederlo

Da oggi è possibile presentare le domande per usufruire del bonus una tantum di 600 euro, ecco come richiederlo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da inps.it
La domanda si potrà fare online accedendo al portale dell’Inps utilizzando le relative credenziali, cioè il Pin oppure lo Spid, la Carta di identità elettronica e la Carta dei sevizi, oltre al Contact center. Chi non si è già attrezzato può utilizzare un Pin semplificato rilasciato dall’Istituto.
I soggetti beneficiari del bonus una tantum di 600 euro sono i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i collaboratori coordinati e continuativi (che hanno una partita Iva attiva almeno dal 23 febbraio 2020), i lavoratori stagionali e quelli dello spettacolo. L’indennità è prevista anche per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali che abbiano perso involontariamente il rapporto di lavoro tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che non abbiamo altri rapporti di lavoro dipendente.
L’importo erogato non contribuisce alla formazione del reddito e non è prevista nessuna contribuzione figurativa. I beneficiari non devono essere titolari di pensioni e non devono essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Tuttavia, esso è cumulabile con l’indennità di disoccupazione per i Co.Co.Co. e con la Naspi (l’assegno ordinario di disoccupazione) incassata dai lavoratori stagionali e dello spettacolo.
Il Governo ha già detto che il bonus verrà prorogato ed aumentato a 800 euro, ma saranno introdotti criteri di selettività per evitare che l’indennità vada a chi non ne ha bisogno.

Fonte inps.it

lunedì 30 marzo 2020

La ‘spesa sospesa’ e la rabbia di chi non ha nulla


Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza’John Lennon

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da livornotoday.it
In questi giorni di limitazione nella circolazione uno dei problemi principali delle famiglie è il reperimento delle risorse alimentari. Per i nuclei più indigenti la situazione è ancora più grave. Alle difficoltà di movimento si aggiunge quella della scarsa disponibilità di mezzi finanziari. In taluni casi è difficile perfino mettere sulla tavola un piatto di pasta.
Si tratta di lavoratori precari, sia dipendenti che autonomi, che si trovano senza reddito e senza tutele sociali. In molti, fino a ieri, si arrangiavano con piccoli lavoretti come la vendita ambulante o con piccoli lavori artigianali e commerciali. Oggi sono senza nessuna occupazione e senza quel poco di risorse economiche indispensabili per dare un minimo di sussistenza alle loro famiglie.
La situazione è grave. In alcuni quartieri delle città o nei piccoli paesi i volontari si sono organizzati. Incuranti dei pericoli dovuti alla pandemia, si recano a portare quotidianamente beni di prima necessità a chi non ha nulla. In particolare, è nata l’abitudine della cosiddetta ‘spesa sospesa’. Chi può permetterselo, quando va al supermercato o al negozio sotto casa, può pagare beni di prima necessità e lasciarli 'sospesi' per chi ne ha bisogno.
Certo, la solidarietà individuale, seppur importante, non può bastare. Provvidenziale, a tale proposito, è il provvedimento emanato due giorni fa dal Governo. Lo stanziamento di 4,3 miliardi di euro destinato ai Comuni, di cui 400 milioni di euro vincolati all’acquisto di beni di prima necessità, possono apparire poca cosa, ma ad esso si devono aggiungere i 25 miliardi di euro pianificati con il decreto ‘Cura Italia'
E' bene sottolineare, tuttavia, che non tutto dipende da chi ci governa e dalle risorse finanziarie disponibili, molto deriva dai nostri comportamenti. In futuro, quando la pandemia sarà passata, sarà importante non dimenticare il dramma che tante famiglie stanno vivendo in questi giorni. Tutti dovremo operare affinché nessuno debba trovarsi in una situazione di indigenza e fragilità. Un impegno che richiederà pazienza e solidarietà, valori che spesso mancano quando le cose vanno bene e che non sono sufficienti quando siamo in difficoltà, come ora.  

domenica 24 novembre 2019

Perché nelle scuole non si fa la raccolta differenziata?


‘Differenziamoci’ è il nome del progetto proposto ai loro alunni dai docenti dell’Itet di Sant’Agata di Militello, l’obiettivo è abituare gli allievi ad agire con senso civico e per la salvaguardia dell’ambiente 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


L'incontro sul progetto 'Differenziamoci' presso l'aula magna
dell'Itet di Sant'Agata Militello - (foto da amnotizie.it)
L’iniziativa è nata da una semplice domanda: perché nelle scuole è così difficile fare la raccolta differenziata? Dipenderà dalla scarsa volontà dei docenti? Oppure dalla mancanza di risorse finanziarie? O più semplicemente è dovuta alla scarsa attitudine a 'differenziare' dei ragazzi e di quanti lavorano nelle scuole italiane? Probabilmente tutti questi fattori influiscono. Quello che è incomprensibile è il fatto che nelle nostre case la differenziazione dei rifiuti è ormai diventata un’abitudine, almeno per la maggior parte delle famiglie, mentre non si riesce a promuovere la stessa attività civica in un ambiente come quello scolastico, dove dovrebbe essere quasi naturale realizzarla. Il risparmio economico e la salvaguardia dell'ambiente dovrebbero essere due incentivi sufficienti per essere buoni cittadini. Ma così non è, allora perché si ricicla in un luogo privato ed invece non lo si fa in uno pubblico?
Sui nostri comportamenti influiscono gesti, parole, atti che, ripetuti nel tempo, diventano consuetudini difficili da modificare. Il senso civico dei cittadini ha un presupposto ineliminabile: esso è sempre un atto compiuto per il benessere collettivo. Non c'è, quindi, un interesse personale diretto ed immediato, pertanto non è degno di attenzione. Superare questa contrapposizione è per molti impossibile o quasi. Combattere l’individualismo degli italiani può apparire come una battaglia persa in partenza, ma essa va intrapresa con fiducia e caparbietà. Ed è quello che intendono fare con il progetto ‘Differenziamoci’ i docenti dell’Itet Nocifora, Spitaleri, Mazzeo, Pulvino, Colosi, la Dirigente Emanuele, il vicesindaco di Sant’Agata di Militello Pedalà, i responsabili del settore ambientale del Comune e la Fondazione Mancuso, sempre sensibile alle tematiche sociali ed ambientali.
Non si tratta solo di esortare i ragazzi e coloro che giornalmente lavorano nella scuola a differenziare i rifiuti. No, lo scopo principale è abituare docenti, collaboratori ed allievi ad avere senso civico, ad essere altruisti, ad agire anche per il bene comune, perché il benessere degli ‘altri’ è anche il nostro. Differenziare i rifiuti è un atto di generosità verso noi stessi e verso le generazioni future. Un pianeta sano è un luogo meraviglioso in cui vivere. Ma sta a ciascuno di noi averne cura compiendo piccoli gesti quotidiani come quello di ‘differenziare’. Basta poco. Basta un po' di buon senso.


giovedì 14 marzo 2019

15 marzo: ‘Climate strike', sciopero globale contro il riscaldamento climatico


‘Non voglio che avete speranza, voglio che agite. Voglio che sentite la paura che sento io ogni giorno. E' voglio che passiate all'azione', Greta Thunberg

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


                              Video da https://www.fridaysforfuture.org/

Venerdì 15 marzo è il giorno scelto per il 'climate strike', ossia la mobilitazione internazionale per chiedere ai governi interventi concreti contro il riscaldamento climatico. A scegliere la data è stata l'attivista svedese, Greta Thunberg. La giovane ha appena 16 anni, ma è già conosciuta in tutto il mondo per il suo impegno contro il cambiamento climatico. Il 20 agosto 2018 la studentessa, a cui è stata pronosticata la sindrome d’Aspergen, ha deciso, per protestare contro il suo Paese, di non andare a scuola fino alle elezioni politiche che si sono tenute il 9 settembre dello stesso anno. Il suo scopo era quello di indurre il governo svedese ‘a ridurre le emissioni di carbonio come previsto dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico’. Il suo slogan era 'Skolstrejk för klimatet', cioè ‘Sciopero della scuola per il clima’. La protesta è poi continuata ogni venerdì della settimana. 
L’iniziativa di Greta ha attirato l’attenzione del mondo intero ed oggi manifestazioni simili si svolgono in tanti altri paesi. Il 15 marzo sono previste 109 iniziative in Italia, 76 in Francia, 141 in Germania, 81 nel Regno Unito. Manifestazioni e proteste simili si svolgeranno in 95 Paesi di tutti i continenti.
Il movimento globale per uno sviluppo sostenibile è giunto anche in Italia e coinvolge soprattutto giovani con un'età inferiore a 20 anni. Il sito web dell'associazione Friday for future raccoglie migliaia di attivisti che chiedono azioni concrete per la salvaguardia del clima.
'Are we evil?', afferma spesso Greta Thunberg, siamo veramente così malvagi da autodistruggere il nostro futuro? E' il tempo dell'impegno, è il tempo della speranza. 'Dear adults, use your power' e 'se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema'.
Fonte fridayforfuture.org,  wikipedia.org rollingstone.it

domenica 3 marzo 2019


Greta Thunberg: ‘Skolstrejk för klimatet’

La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema’, Greta Thunberg
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Greta Thunberg - (foto da valigiablu.it)
Greta Thunberg 16 anni è un’attivista svedese per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico. Il 20 agosto 2018 la giovane studentessa, a cui è stata pronosticata la sindrome d’Aspergen, ha deciso, per protestare contro il suo Paese, di non andare a scuola fino alle elezioni politiche che si sono tenute il 9 settembre dello stesso anno. Il suo scopo era quello di indurre il governo svedese ‘a ridurre le emissioni di carbonio come previsto dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico’. Il suo slogan era 'Skolstrejk för klimate', cioè ‘Sciopero della scuola per il clima’. La protesta è poi continuata ogni venerdì della settimana. 
‘Are we evil?’ E’ una frase che Greta pronuncia spesso. 'Siamo forse malvagi a permetterci di autodistruggere il nostro futuro?' Per questa ragione la giovane attivista è passata all’azione. Possiamo affidarci alla speranza, ‘but one thing we need more than hope is action’, ripete nei suoi discorsi. Ed è disarmante che a dirlo sia una ragazzina di 16 anni. Greta chiede solo un futuro sostenibile per lei, i suoi figli, i suoi nipoti. Un mondo in grado di superare le emergenze climatiche. E se la società non si adopera per garantirle un futuro, che senso ha andare a scuola in quei venerdì? ‘Che senso ha far parte di quel sistema scolastico che ha istruito gli scienziati che ci stanno continuando ad avvisare di questa crisi e che continuiamo ad ignorare? Are we evil? O forse solo stupidi?’
L’iniziativa di Greta ha attirato l’attenzione del mondo intero ed oggi manifestazioni simili si svolgono in tanti altri paesi. Il 14 dicembre dello scorso anno nell’ultimo giorno del vertice sui cambiamenti delle Nazioni Unite che si è svolto a Katowice ha detto: ‘Voi parlate soltanto di un'eterna crescita economica verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l'unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d'emergenza. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini.... La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema’.
Fonte wikipedia.org e rollingstone.it

giovedì 3 marzo 2016

Renzi: ‘Il Ponte sullo Stretto si farà’


Il presidente Consiglio, Matteo Renzi, promette, come fece Silvio Berlusconi nel 2001, la costruzione del Ponte sullo Stretto, ma sarà #lavoltabuona?

Silvio Berlusconi
‘Sicuramente il Ponte sullo Stretto verrà fatto prima o poi. L’importante è che portiamo a casa i risultati di opere incompiute perché qui ci sono solo quelli che pensano di arrivare e portare a casa progetti faraonici’, a dirlo ad Isoradio è il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ed ancora: ‘bisognerà capire costi e tempi’, ma ‘prima devono finire i lavori sulle strade in Sicilia e Calabria’.
Lo Stretto di Messina
Il presidente del Consiglio promette, quindi, il completamento delle opere incompiute e, in futuro non troppo lontano, la costruzione del Ponte. Sono gli stessi impegni che prese nel 2001 l’allora premier Silvio Berlusconi, ma, ora, sarà #lavoltabuna?
‘In Sicilia vanno rimesse a posto strade e ferrovie. Se non uniamo Palermo, Catania e Messina di che parliamo?’ sottolinea Renzi ed aggiunge: ‘In alcuni momenti è stata impercorribile al suo interno ed è indecente per una regione così bella. In prospettiva personalmente non ho niente contro il Ponte, anzi lo ritengo utile, l’importante è capire tempistica, costi, collegamento e quando ci sarà dovrà essere per i treni. Dovrà essere un pezzo della struttura di Alta velocità del Paese. Perché abbiamo la struttura ad Alta velocità migliore al mondo’ e, conclude il Premier, ‘ora bisogna andare da Napoli a Bari e da Napoli a Reggio Calabria e, in prospettiva, anche a Palermo’.



venerdì 15 aprile 2016

Referendum sulle trivellazioni, le ragioni del Si e del No


Ecco un breve vademecum sul referendum abrogativo di domenica 17 aprile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto ilgiunco.net
‘Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?'
E’ questo il quesito a cui gli elettori dovranno rispondere tracciando, domenica 17 aprile 2016 dalle ore sette fino alle ventitre, una crocetta sul Si o sul No. Si tratta, come stabilisce l’art. 75 della Costituzione, di un referendum abrogativo, gli elettori possono cioè decidere di abolire o meno una norma.  Il quesito può riguardare una legge, un articolo, un comma o addirittura, come in questo caso, un periodo di un comma.  Per la validità della consultazione è necessario il ‘Quorum’, cioè devono partecipare al voto almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Foto blastingnews.com
Il quesito non riguarda le nuove trivellazioni ma solo i giacimenti già esistenti. Il decreto legislativo 152, al comma 17 stabilisce, infatti, chesono vietate nuove ‘attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi’ entro le 12 miglia marine, ma, nello stesso tempo, dispone che gli impianti esistenti possano continuare l’estrazione fino alla scadenza della concessione che può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento.
La consultazione è stata richiesta da 9 regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Liguria, Puglia, Veneto e Sardegna. E’ bene ricordare che lo scorso anno una raccolta di firme era fallita e che questa è la prima volta nella storia della Repubblica che un quesito referendario è richiesto dalle regioni.
I numeri. Con il referendum si vuole impedire alle società petrolifere di continuare ad estrarre petrolio o gas fino ad esaurimento del giacimento e di imporre per legge la cessazione dell'attività produttiva alla scadenza della concessione indipendentemente dal fatto che esso sia esaurito o meno. Le licenze interessate dal referendum sono quarantaquattro, su cui sorgono quarantotto piattaforme. Nove, già scadute, è assai probabile che non saranno rinnovate se vince il Si. Le altre saranno chiuse nei prossimi 20 anni. Pertanto, una vittoria dei promotori del referendum non impedirà lo sfruttamento dei giacimenti già esistenti, ma solo di quelli che hanno una concessione scaduta.
Foto welfarenetwork.it
La legge stabilisce una durata delle autorizzazioni di trent’anni, dilazionabile tre volte, la prima per dieci e le altre due per cinque anni ciascuna, al termine le aziende possono chiedere un'ulteriore proroga fino all’esaurimento del giacimento. Oggi, entro le 12 miglia marine si estrae il 17,6% di tutto il gas italiano e il 9,1% di tutto il petrolio.
Le ragioni del Si. I comitati ‘No-Triv’, sostenuti da diverse associazioni ambientaliste, come il WWF e Greenpeace, non solo intendono ‘fermare’ le trivellazioni per evitare i rischi ambientali e sanitari, ma si pongono come obiettivo anche quello di dare un segnale ‘politico’ contro lo sfruttamento dei fossili per favorire un maggior utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili.
Le ragioni del No. Il comitato ‘Ottimisti e razionali’ sostiene, invece, che continuare ad estrarre gas e petrolio è un modo sicuro per ridurre l’inquinamento. Il 10% di energia derivante dai fossili, che il nostro Paese utilizza ogni anno, evita il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere. Inoltre una vittoria dei Si avrebbe conseguenze rilevanti sull’occupazione. Si calcola che solo nella provincia di Ravenna si perderebbero quasi settemila posti di lavoro. Ma ci sarebbe anche una ragione ‘politica’. Con il referendum i promotori intenderebbero fare pressioni sul Governo e sul Parlamento. La riforma costituzionale appena approvata modifica, tra l'altro, l’articolo 117, quello che indica le materie di competenza legislativa delle Regioni e tra queste quella energetica. Insomma, per i sostenitori del No la difesa dell'ambiente sarebbe solo un pretesto, lo scopo principale sarebbe quello di evitare una riduzione dei poteri e dell'autonomia politica delle Regioni.




giovedì 14 gennaio 2016

Petrolchimico di Gela: Eni sotto processo per ‘inquinamento ambientale’


A chiedere la condanna dell’azienda sono le famiglie di una trentina di bambini nati malformati, che ritengono sia l’Ente di Stato ad essere responsabile delle patologie dei loro figli 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il petrolchimico di Gela
L’Eni è stato citato in giudizio per ‘l’inquinamento ambientale prodotto, in oltre 50 anni di attività, dal suo petrolchimico, con conseguenze pesanti sull’ecosistema e sulle persone’. Delle responsabilità dell’Ente è certa anche l’amministrazione comunale di Gela che si è costituita parte civile ed ha chiesto la creazione di un fondo risarcitorio di 80 milioni di euro.
I periti nominati dal tribunale hanno accertato il legame tra l’inquinamento industriale della raffineria e le malformazioni riscontrate nei bambini gelesi. Inoltre hanno parlato di ‘disastro ambientale permanente’ che avrebbe effetti nocivi sull’uomo.
L’avvocato delle famiglie ricorrenti, Giuseppe Fontanella, ha chiesto il sequestro dei pozzi e degli impianti ancora in esercizio a Gela.
I legali dell’Eni respingono ogni accusa e dichiarano che l’azienda ha rispettato 110 prescrizioni sulle 112 imposte dal ministero per l’ambiente. Inoltre minacciano ‘di far saltare il protocollo d’intesa firmato con il Governo e la Regione per il salvataggio della raffineria di Gela’.


sabato 31 ottobre 2015

Legambiente: la città con l’eco-performance peggiore è Messina


Negli ultimi tre posti della classifica stilata da Legambiente sulla vivibilità ambientale dei principali capoluoghi italiani ci sono tre città siciliane: Palermo, Catania e Messina

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Messina
La Legambiente ha pubblicato la XXII edizione di Ecosistema Urbano, ricerca realizzata in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia ed Il Sole 24 Ore sulla vivibilità ambientale nei capoluoghi di provincia italiani. Per quanto riguarda la raccolta differenziata e le energie rinnovabili i miglioramenti rilevati dall’indagine sono scarsi, mentre è peggiorata la situazione per quanto concerne il trasporto urbano. A guidare la classifica sono soprattutto i piccoli capoluoghi, quelli cioè al di sotto degli 80mila abitanti. Tra questi ci sono Verbania, Belluno, Sondrio, Mantova, Pordenone, Trento e Bolzano. Tra le grandi città c’è Venezia. Nella maggior parte dei casi si tratta di capoluoghi del Nord Italia, due soltanto sono del Centro e cioè Macerata ed Oristano.
Messina
Le performance peggiori sono al Sud. In particolare in Calabria con Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro ed in tre capoluoghi di provincia siciliani: Palermo, Agrigento e Messina, che si trovano negli ultimi posti della classifica. “Per sperare che le nostre città migliorino c’è una sola strada: fare la scelta strategica, con i ministeri interessati coordinati da una vera cabina di regia, di fare dell’innovazione urbana e del miglioramento della vita in città la vera opera pubblica”, ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente ed ha aggiunto: “Una scelta politica che andrebbe nella direzione dell’interesse generale: si crea lavoro migliorando il benessere e mettendo al sicuro le nostre città”. 


sabato 19 settembre 2015

Sicilia regina delle opere incompiute


Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato l’elenco delle opere non ultimate o non fruibili, in Sicilia sono 215

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Palermo, la diga di Blufi i cui lavori sono fermi dal 1995
In Italia le opere pubbliche d'interesse nazionale incompiute rilevate dal monitoraggio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono 868, in aumento rispetto all’anno prima quando erano 692. Novantatre sono da terminare in Calabria e ottantuno in Puglia, mentre la Campania è tra le regioni più virtuose con dodici opere incompiute.
In Sicilia ci sono duecentoquindici opere non ultimate o non fruibili, un quarto di quelle italiane. Il loro valore è di 420 milioni di euro. L’anno prima erano ‘solo’ sessantasette. Inoltre ce ne sono quaranta con uno stato di avanzamento dei lavori del 20%, mentre altre otto sono state completate, ma non sono ancora fruibili come il Centro sociale a Casalvecchio Siculo in provincia di Messina o la casa di riposo a Casteltermini in provincia di Agrigento.
Gela, superstrada inutilizzata
L’Anagrafe è stata istituita nel 2011, ma è divenuta operativa nel 2013 ed è, quindi, al terzo anno di rilevamento. Per ogni opera il sistema segnala nei tabulati la stazione appaltante, le risorse, la percentuale di lavori compiuti e le cause rilevanti dell’interruzione e se questa è temporanea o se è dovuta a cause ostative come contenziosi o fallimenti, oppure se il collaudo non è stato eseguito per mancanza di requisiti o di risorse.
 Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, così ha commentato i dati: “Ora dobbiamo andare oltre la stesura e istituire a cura del Ministero un’apposita task force che, così come avvenuto con l’Agenzia della Coesione per i Fondi europei, segua punto per punto le opere meritevoli di essere completate”.


domenica 2 agosto 2015

San Vito Lo Capo: Bue Marino è la spiaggia regina dell’estate 2015


Il concorso ‘La più bella sei tu’ organizzato da Legambiente ha eletto come spiaggia regina del 2015 quella siciliana di Bue Marino 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Bue Marino - San Vito Lo Capo (Tp)
Bue Marino - San Vito Lo Capo (Tp)
Bue Marino - San Vito Lo Capo (Tp)
La spiaggia siciliana di Bue Marino, a 4 km dal Comune di San Vito Lo Capo in provincia di Trapani, è la regina del 2015.
A stabilirlo è stato il concorso ‘La più bella sei tu’organizzato da Legambiente che ogni anno elegge il lido più bello dell’estate. La spiaggia trapanese ha conquistato il primo posto in classifica togliendolo al comune di Camerota (Sa) che lo deteneva da due anni. Tra i tredici lidi in concorso Bue Marino conquista la vetta della classifica davanti alla Spiaggia del Nastro e a Baia dell’Orte che si trovano rispettivamente nei Comuni di Maratea ed Otranto.
La graduatoria è stata stilata incrociando i voti di una giuria di esperti con quelli degli utenti online che hanno avuto due mesi di tempo per esprimere il loro parere.
Bue Marino - San Vito Lo Capo (Tp)
“Anche quest’anno abbiamo avuto una importante e significativa adesione al nostro concorso ‘La più bella sei tu’, segno che gli italiani hanno voglia di far conoscere i loro luoghi preferiti e del cuore”. Questo è quanto ha dichiaratoAngelo Gentili, responsabile nazionale Legambiente Turismo. Ed ha aggiunto: ”Ci sono tante spiagge incantevoli ed uniche che rappresentano alcune delle mete più significative e apprezzate di questa stagione e che al tempo stesso costituiscono una parte importante della bellezza della nostra Penisola. Alcuni lidi segnalati dal contest sono più selvaggi, altri sono più accessibili e popolari, ma tutti sono accomunati da paesaggi mozzafiato e una bellezza unica che meritano di essere valorizzati attraverso un turismo ecosostenibile. Siamo convinti che la bellezza debba andare di pari passo con la fruizione e la conservazione di questi luoghi, per questo chiediamo agli amministratori e ai cittadini di impegnarsi e di collaborare insieme per mantenere il giusto equilibrio e l’armonia tra fruizione e conservazione di questi lidi italiani”.



mercoledì 26 agosto 2015

Il 41% del territorio del Sud è a rischio desertificazione


Secondo Mauro Centritto, ricercatore del Cnr, è a rischio desertificazione un quinto del territorio nazionale, gran parte del quale si trova nel Sud 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

“Gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione il 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel Sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo. In Sicilia le aree che potrebbero essere interessate da desertificazione sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%”. A dirlo è Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche.
“Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive, l’unione di questi due fattori genererà forte aridità.” Inoltre, secondo il ricercatore del Cnr, per arrestare la desertificazione non è sufficiente “cambiare in tempo la nostra politica energetica” perché “il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio”.
Una delle conseguenze della desertificazione sarà quella di accrescere le ondate migratorie, a sottolinearlo è lo stesso Centritto: ”Ad essere colpiti dalla siccità sono infatti i paesi del Mediterraneo, tra i più fragili dal punto di vista ambientale e antropico. Molte persone che arrivano da noi non fuggono dalla guerra, ma da aree rese invivibili dalla desertificazione, sono rifugiati ambientali. E il loro numero è destinato a crescere esponenzialmente nel prossimo futuro. Occorre un approccio sistemico al problema, capace di riportare in equilibrio ecologico i territori a rischio”.

venerdì 3 luglio 2015

La catena alimentare ed il pericolo di estinzione di animali e vegetali

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