SOCIALE

domenica 17 dicembre 2023

In Italia un residente su dieci è povero

In Europa si trovano ‘in una condizione di rischio povertà e/o di esclusione sociale 95 milioni di persone, il 21,8% della popolazione. In Italia sono 14 milioni 304mila, cioè il 24,4%’

di Giovanni Pulvino

Foto da Oxfam Italia

In Italia un residente su dieci è povero. Il 9,7% della popolazione vive in una condizione di povertà assoluta. 2,1 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui non raggiungono un ‘livello di vita dignitoso’.

Chi nasce povero molto probabilmente lo rimarrà anche da adulto’, a sostenerlo è la Caritas.

In Europa si trovano ‘in una condizione di rischio povertà e/o di esclusione sociale 95 milioni di persone, il 21,8% della popolazione’. In Italia sono 14 milioni 304mila, cioè il 24,4%. I poveri assoluti sono cresciuti di 357mila unità, in tutto sono 5 milioni 674mila persone (9,7%), di questi 1 milione 270mila sono minori (13,4%).

Le famiglie povere sono 2 milioni 187mila, con un aumento dei 165mila nuclei.

Al Sud e nelle isole sono rispettivamente il 13,3 e l’11,3%.

La povertà assoluta si concentra in gran parte nei nuclei familiari di soli stranieri. Pur ‘rappresentando 8,7% della popolazione residente costituiscono il 30% dei poveri assoluti’.

Ad incidere sono soprattutto l’istruzione e la mancanza di un lavoro stabile e ben retribuito.

Tra il 2021 e il 2022 ‘le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare, è passata dall’11,9 al 13%’. Invece, dove il capofamiglia ha un titolo di scuola superiore l’incidenza è più contenuta (4,0%). Solo il 47% dei nuclei in povertà assoluta ha il capofamiglia occupato.

Nel 2022 i centri di ascolto della Caritas hanno supportato 255.957 persone, l’11,7% delle famiglie in povertà assoluta, cioè l’1% delle famiglie residenti.

La maggior parte degli ‘utenti’ ha un basso livello d’istruzione (66,5%) e occupazionale. Il 48% vive in una condizione di disoccupazione ed il 22,8% di ‘lavoro povero.

I problemi denunciati sono soprattutto quelli economici (78,5%), occupazionali (45,7%) e abitativi (23,1%).

Il 45% dei sussidi erogati nel 2022 dalla Caritas riguardano i ‘bisogni energetici’.

Il lavoro non sempre garantisce una vita dignitosa. In genere si tratta di ‘lavoratori in nero, in grigio, part time forzati, con contratti regolari ma tutti con salari inadeguati’.

Le ragioni del cosiddetto ‘lavoro povero’ sono, secondo la Caritas, tre: la debolezza contrattuale, la trasformazione del mercato del lavoro (precarietà terziarizzazione, ect..) e comportamenti dei datori di lavoro.

Fonte caritas.it

lunedì 4 dicembre 2023

Franca Viola: ‘io non sono proprietà di nessuno’

Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad  amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose non chi li subisce’, Franca Viola, 2 gennaio 1966

di Giovanni Pulvino

Franca Viola e Filippo Melodia, 1966
Nel 1965 Franca Viola è stata rapita, segregata e violentata dal suo ex fidanzato. Siamo ad Alcamo, in Sicilia.
Figlia di una coppia di contadini, Viola rifiuta il matrimonio riparatore e denuncia il suo stupratore. Il 30 maggio 1969 Filippo Melodia fu condannato in via definitiva a 10 anni di carcere e due di soggiorno obbligato.

Nel 1968, Viola sposò un compaesano ed amico d’infanzia. La copia ebbe due figli e nel 1971 tornò ad Alcamo.

L’8 marzo del 2014 è stata insignita dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana da Giorgio Napolitano.

La vicenda di Franca Viola è stata dirimente.

Il 25 agosto del 1981 è entrata in vigore la legge 442, che ha abrogato gli artt. 544, 587 e 592 del Codice penale. Sì, perché il reato di stupro non esisteva e gli autori di questo tipo di violenze potevano evitare il carcere con il cosiddetto matrimonio riparatore.

Il cammino verso la parità di genere è ancora lungo, ma un grande passo in avanti è stato fatto grazie al coraggio di una giovane siciliana e della sua famiglia di umili contadini.

A volte i grandi cambiamenti avvengono per la caparbietà di pochi che con le loro azioni scuotono le coscienze di molti ed inducono i potenti ad agire nell’interesse di tutti, donne comprese.


Fonte wikipedia.org

venerdì 15 settembre 2023

Le morti sul lavoro non sono casuali

Perdere una vita per negligenza o per il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza, o peggio per l'avidità degli imprenditori o per il bisogno di avere comunque un appalto o un subappalto, non è accettabile, mai

di Giovanni Pulvino


Foto da ilfattoquotidiano.it
Quasi tre lavoratori al giorno escono di casa, ma non vi fanno più ritorno. È un bollettino di guerra. 

Il quattordici settembre un lavoratore è deceduto all’aeroporto ‘Marconi’ di Bologna, un altro è caduto da 10 metri di altezza ad Arzano ed è morto ed un terzo è deceduto nel capoluogo campano. Quest'ultimo è stato investito da uno dei mezzi di raccolta dei rifiuti dell’azienda municipale dove lavorava.

Il tredici settembre tre addetti sono morti per un’esplosione verificatasi a Casalbordino, in provincia di Chieti. L’incidente è avvenuto in una fabbrica che smaltisce e recupera polvere da sparo da bonificare. L’azienda non è nuova a questo genere di disgrazie. Nel 2020 altri tre operai morirono in un altro incidente. Nel 1992 un altro lavoratore perse la vita ucciso dall’innesco di una spoletta. Nel 2009 altre due persone rimasero gravemente ferite in un’esplosione.

No, morire per il lavoro non è casuale.

Il 12 settembre un operaio di 48 anni è morto cadendo dal tetto di un capannone nella provincia di Catanzaro. Inutili sono stati i tentativi di rianimarlo. Nelle stesse ore un altro lavoratore cinquantenne è morto a causa della caduta da un ponteggio in un cantiere a Scala Torregrotta, in provincia di Messina.

L’otto settembre a Lamezia un operaio è stato travolto da un’auto. Aveva 25 anni. L’incidente è avvenuto sulla strada ‘Due mari’, nei pressi dell’aeroporto. Il lavoratore era intervenuto per regolare il traffico dopo un incidente che aveva coinvolto due auto in un punto in cui la carreggiata era ristretta a causa dei lavori.

A Brandizzo, la sera tra il 30 ed il 31 agosto cinque operai della Sigifer sono stati travolti da un treno. La loro ditta stava lavorando sulla rete ferroviarie per un subappalto da 750 euro.

Il ventitré agosto in una carrozzeria di Modena sono rimasti ustionanti due operai, uno è morto.

L’elenco potrebbe continuare. Il numero dei deceduti cresce ogni giorno. Lo sdegno non basta più. Eppure, le leggi ci sono, ma questi eventi tragici continuano a ripetersi, perché? 

Perdere una vita per negligenza o per il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza, o peggio per l'avidità degli imprenditori o per il bisogno di avere comunque un appalto o un subappalto, non è accettabile, mai.

Quando la mattina ci alziamo dovremmo ricordarci sempre che la vita è breve e che non si può e non si deve morire di e per il lavoro.

mercoledì 24 maggio 2023

La ricchezza è concentrata nelle mani di pochi

I dati pubblicati dal Mef sui redditi del 2021 confermano che la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi

di Giovanni Pulvino

Foto da Bluerating.com

Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia e delle Finanze in Italia nel 2021 il reddito imponibile pro-capite è stato di 20.745 euro. In aumento di 949 euro rispetto al 2020. Il Comune più ricco è stato Lajatico (Pi) con un reddito medio di 52.378 euro, seguono Basiglio (Mi) e Bogogno (No).

I capoluoghi con i redditi medi più alti sono stati quelli di Milano (33.703), Monza (29.597) e Bergamo (29.090), dove, rispetto al 2020, si sono registrati incrementi rispettivamente di 1.926, 1.332 e 1.848 euro.

La ricchezza è concentrata nelle mani di pochi.

Il 5% degli italiani guadagna più di 55mila euro annui, mentre il 43% meno di 15mila euro, con una diminuzione dell’1% rispetto al 2020.

Niente di nuovo. È così da oltre trent’anni. La precarizzazione del lavoro con la cosiddetta politica dei redditi ha incrementato le diseguaglianze ed accresciuto il numero di lavoratori che vive in condizioni di povertà relativa o assoluta.

I ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri crescono di numero. 

Non solo, i nostri giovani spesso fanno fatica a trovare un'occupazione stabile e sono costretti ad emigrare.

Tra il 2012 e il 2021, secondo Eurostat, la differenza tra rimpatri ed espatri di giovani laureati (fascia di età 25-34 anni) è stata pari a -79.162 unità. Inoltre, nel nostro Paese c’è un’alta percentuale di Neet, giovani non attivi in istruzione, lavoro o formazione. Nel 2022 erano il 19%, un dato superiore alla media europea.  

Il divario territoriale anziché diminuire cresce. 

Il calo demografico e la mancanza di opportunità di lavoro stanno spopolando intere aree del Mezzogiorno, in particolare quelle interne ed i piccoli centri. Il processo di privatizzazione dei servizi pubblici ha ridotto le opportunità di lavoro per i giovani diplomati e laureati che in gran parte sono costretti ad emigrare nelle città del Nord o all’estero.

Tutto in attesa della riforma sull’Autonomia differenziata.

Fonti: Mef e Eurostat

sabato 25 marzo 2023

I ‘furbetti’ dell’omogenitorialità

I primi ad essere contro la maternità surrogata dovrebbero essere le femministe e le coppie gay. Invece, è diventata una ‘bandiera ideologica’ della Destra, perché?

di Giovanni Pulvino

Foto da Twitter

La maternità surrogata è la sublimazione del sistema capitalistico, dove tutto è merce e dove tutto è oggetto di scambio, basta pagare un prezzo.

E non è un caso che essa sia legale per le coppie dello stesso sesso non residenti solo in Canada e negli Stati Uniti d’America. E non deve sorprendere che essa sia ammessa con qualche limitazione anche in Europa. Alcuni Stati come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Danimarca ed il Portogallo la vietano solo agli stranieri non residenti. Altri come l’Ucraina, la Grecia e la Georgia la consentono a tutte le coppie eterosessuali, ma dietro il pagamento di una somma di denaro che può superare anche i 100mila euro.

Ci sono, purtroppo, donne che pur di avere un reddito sono disposte a tutto, anche a vendere il proprio corpo ed i propri figli, ma non è escluso che esse possano essere costrette a farlo.

Dall’altro lato ci sono coloro che desiderano essere padri o madri a tutti i costi. Potrebbe apparire retorico, ma due uomini o due donne non possono procreare.

Non è un fatto ideologico, è la vita che è così. Non si può avere tutto. Quando si decide o si sente il bisogno di condividere la propria esistenza con un’altra persona lo si fa per amore ed è proprio per questo che bisogna accettarne le conseguenze, anche quelle che non ci piacciono. Questo principio vale anche per le coppie eterosessuali.

Le richieste di trascrizione agli uffici comunali di figli omogenitoriali sono spesso un escamotage per eludere la legge italiana che vieta la maternità surrogata. Negarlo è infantile, oltreché illegale.

Le coppie gay che intraprendono questo percorso sono pochissime e spesso sono benestanti. Nella maggior parte dei casi a fare l’istanza sono coppie eterosessuali.

Chi ritiene che questa ‘pratica’ sia eticamente e socialmente corretta lo dica apertamente e non si nasconda dietro l’interesse dei bambini.

Sì, perché qui parliamo di bambini, i cui diritti sono negati solo per soddisfare il desiderio di paternità o maternità degli adulti.

Quando saranno grandi di certo si chiederanno, ma chi è mia madre? Chi è mio padre? E cosa risponderanno coloro che hanno pagato per avere un utero in affitto? Mentiranno o diranno la verità? E come reagiranno i ‘loro’ figli quando sapranno che sono stati privati dei genitori biologici? No, tutto questo non è giusto.

Adottare un bambino o una bambina che non hanno più i genitori è una cosa, averne uno o una per contratto approfittando del bisogno o dell’avidità di una madre o di un padre è un’altra cosa.  

Ci piacerebbe sentire parole chiare dai politici, ma queste, ad oggi, vengono solo da chi a torto o a ragione difende la famiglia tradizionale anche se nel loro quotidiano vivono in tutt’altro modo.

venerdì 10 marzo 2023

Nel 2022 le denunce per incidenti sul lavoro sono cresciute del 25,70%

Le denunce per infortunio sul lavoro presentate nel 2022 sono cresciute del 25,70% rispetto all’anno precedente, a certificarlo sono i dati dell’Inail

di Giovanni Pulvino

Mappa dei morti sul lavoro nel 2022
Foto da inps.it
Le  denunce per incidenti sul lavoro presentate all’Inail nel 2022 sono state 697.773, cioè oltre 140.000 in più rispetto al 2021. I morti sul lavoro sono stati 1.090, in diminuzione del 10,70%. Le patologie professionali denunciate sono state 60.774, in aumento del 9,90%.

L’incremento degli infortuni ha riguardato ‘quasi tutti i settori, in particolare la Sanità e l’assistenza sociale, il Trasporto, le Attività dei servizi di alloggio e la ristorazione’. Le regioni con maggiori denunce sono state la Campania (+68,90%), la Liguria (+49,00%) ed il Lazio (+45,40%). L’aumento ha riguardato sia i lavoratori italiani (+27%) che quelli stranieri (+36,60%).

Mentre si discute se abolire, modificare o mantenere il Reddito di cittadinanzanei luoghi di lavoro si continua a morire.

Le leggi ci sono ed i corsi di formazione sono obbligatori, ma, nonostante ciò, gli incidenti aumentano anziché diminuire. Perché? 

Prima che accada l’irreparabile non ci pensiamo, poi è troppo tardi.

A volte una distrazione o un gesto che appare semplice diventa letale. Ed un padre, una madre, un giovane o una giovane lavoratrice non fa più ritorno a casa ed ai suoi cari. Non è giusto morire per un pezzo di pane. Non è giusto morire per negligenza. Non è giusto morire per il profitto.

Lavoratori e datori di lavoro fermiamoci e riflettiamo su come possiamo risolvere una volta per tutte questa ‘mattanza’.

La vita è breve, per alcuni è brevissima.

Quando usciamo di casa, quando siamo sul posto di lavoro, quando ritorniamo alle nostre abitazioni, basta un attimo, non dimentichiamolo mai.

Fonte inail.it

venerdì 20 gennaio 2023

‘La disuguaglianza non conosce crisi’

Lu saziu nun criri a lu diunu’ dice un proverbio siciliano. Chi vive nel benessere non può capire chi vive in povertà

di Giovanni Pulvino

Foto da oxfamitalia.org
‘Dal 2020 l’1% più ricco si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale rispetto al restante 99% della popolazione mondiale’. A sostenerlo è il nuovo rapporto ‘La disuguaglianza non conosce crisi’ pubblicato da Oxfam in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos. Durante la pandemia l’1% più ricco ha visto crescere il proprio patrimonio di 26.000 miliardi di dollari, cioè il 63% dell’incremento globale. Il 37% è invece andato al 99% più povero della popolazione.

È un record storico.

Le ricchezze di un miliardario ‘sono aumentate di 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio’. Tutto questo nonostante la crisi dei mercati finanziari.

Nel 2022 le ‘95 aziende, big dell’energia e le multinazionali del cibo, hanno raddoppiato i loro profitti’. Nello stesso tempo circa 1,7 miliardi di lavoratori vivono in Paesi dove l’inflazione è maggiore dell’incremento dei salari.

‘820 milioni di persone , cioè 1 su 10 , soffrono la fame’.

Per la prima volta in 25 anni aumentano contemporaneamente estrema ricchezza ed estrema povertàCrisi dopo crisi i molteplici divari si sono acuiti, rafforzando le iniquità generazionali, ampliando le disparità di genere e gli squilibri territoriali’, ha dichiarato Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International. Ed ancora: ‘Un sistema fiscale più equo, a partire da un maggiore prelievo sugli individui più facoltosi, è uno degli strumenti di contrasto alle disuguaglianze. Un’imposta del 5% sui grandi patrimoni potrebbe generare per i Paesi riscossori risorse da riallocare per obiettivi di lotta alla povertà a livello globale affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi di persone’.

Secondo la Banca Mondiale ‘stiamo assistendo al più grande aumento di disuguaglianza e povertà globale dal secondo dopoguerra. Interi Paesi rischiano la bancarotta e quelli più poveri spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in sanità.

Lu saziu nun criri a lu diunu’ dice un proverbio siciliano. Chi vive nel benessere non può capire chi vive in povertà

Non possiamo fare finta di niente, ogni giorno dobbiamo decidere se essere solidali o indifferenti.

E come diceva Don Lorenzo Milani: Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali’.

Fonte oxfamitalia.org

venerdì 26 agosto 2022

Quasi 15 milioni di italiani sono a rischio povertà

Cresce il rischio di cadere in povertà ed il Rdc non dà dignità a chi vuole non vuole vivere di assistenza

di Giovanni Pulvino

Foto da it.wikipedia.org

Nel 2021 il rischio di cadere in povertà in Italia è passato dal 20% al 20,1%. A sostenerlo sono i dati pubblicati dall'Eurostat. Sono 11,84 milioni le persone che hanno percepito un reddito inferiore al 60% rispetto a quello medio. Se si considera anche il rischio di esclusione sociale, la percentuale sale al 25,2%. Si tratta di 14,83 milioni di individui che ‘non possono permettersi una serie di beni materiali o attività sociali o vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa’. 
Un bambino su quattro vive in famiglie a rischio povertàsono 667mila, in aumento rispetto ai 660mila dell’anno prima. Il tasso è al 26,7% rispetto al 23,8% del 2020, ma sale al 31,6% rispetto al 27% dell’anno precedente se consideriamo anche le famiglie a rischio di esclusione sociale.

È il dato peggiore dal 1995.

Questa situazione dovrebbe indurre i partiti a mettere al centro del dibattito elettorale la questione sociale, invece non è così, perché? Quasi tutte le forze politiche hanno annunciato di voler modificare o addirittura cancellare il Reddito di cittadinanza. I leader della Destra hanno proposto di utilizzare quelle risorse per finanziare la flat tax o tassa piatta. Può sembrare paradossale, ma nella sostanza s’intende togliere ai poveri per dare ai benestanti.  

Il Rdc va ‘revisionato’.

Tra i percettori dell’indennità voluta dal M5s ci sono soggetti che non sono in grado di lavorare o che hanno un lavoro saltuario, ma ci sono anche coloro che potrebbero lavorare ma si ‘accontentano’ dell’indennità che percepiscono.

L’errore principale è stato quello di aver messo insieme povertà e politiche attive sul lavoro. Molte mansioni oltre ad essere precarie e saltuarie sono mal retribuite. Questo non incentiva i giovani. Lavorare per rimanere poveri scoraggia anche i più volenterosi. In secondo luogo, le maggiori opportunità occupazionali sono soprattutto nel nord del Paese o all’estero. Per i migranti meridionali non c’è solo il trauma dell’abbandono di amici e parenti, ma, spesso, si va a svolgere una mansione che è precaria o a tempo determinato e con il rischio concreto di cadere in povertà.

Il Rdc è necessario, ma non risolve i problemi sociali e soprattutto non dà dignità a chi vuole non vuole vivere di assistenza. 

Fonte Eurostat  

sabato 23 luglio 2022

Istat, crescono le disuguaglianze retributive e sociali

La povertà assoluta ‘è progressivamente aumentata’, nel 2021 coinvolgeva ‘oltre cinque milioni e mezzo di persone’, a sostenerlo è il Rapporto Annuale 2022 pubblicato dall’Istat

di Giovanni Pulvino

Foto di @inrivalfiume - (Twitter)

Secondo il Rapporto Annuale 2022 dell’Istat quattro milioni di lavoratori del settore privato percepiscono una retribuzione lorda annua inferiore a 12 mila euro. Si tratta soprattutto di giovani, di donne, di stranieri con basso reddito e residenti, nella maggior parte dei casi, nel Mezzogiorno. Questa situazione è la diretta conseguenza dell’introduzione negli ultimi tre decenni dei nuovi contratti a termine o part-time, cioè rapporti di lavoro brevi (anche di un giorno) e con basse retribuzioni orarie o annuali. ‘Il lavoro somministrato (390mila unità) e intermittente (214 mila unità) tra il 2012 ed il 2021 è più che raddoppiato’. Questi dipendenti sono 'occupati' mediamente per undici giornate al mese.

Anche chi lavora è povero.

La povertà assoluta, sottolinea l’Istat, ‘è progressivamente aumentata’. Nel 2021 coinvolgeva ‘oltre cinque milioni e mezzo di persone’. È diminuita tra gli anziani soli, ma è cresciuta ‘fortemente’ tra le coppie con figli o con monogenitori. A livello territoriale sono in queste condizioni ‘un italiano su venti nel Centro-nord, mentre è più di uno su dieci nel Mezzogiorno’.

Il Reddito di cittadinanza ha migliorato le condizioni di vita di ‘un milione di individui’. Tuttavia, la situazione continua a peggiorare e l’attuale congiuntura economica e l’inflazione rischiano di aumentare le disuguaglianze.

Il ricorso, durante la pandemia, alla Didattica a distanza ha penalizzato le scuole e gli studenti, ‘generando ulteriori differenze tra territori e ordini scolastici’. In particolare, nel Meridione.

‘Solo il 60% delle scuole secondarie disponeva di strumenti tecnologici adeguati per la condivisione del materiale didattico'. Problematiche dovute soprattutto alla lentezza della connessione internet. Due studenti su dieci hanno avuto difficoltà a seguire le lezioni, ‘in 700 mila hanno partecipato solo saltuariamente e 156 mila non hanno ricevuto formazione’. Quasi 7 mila ragazzi con disabilità sono stati esclusi oltre che per la gravità della loro patologia, anche e soprattutto per il disagio economico delle famiglie e per la mancanza di dispositivi tecnologici adeguati. Queste criticità sono state rilevate soprattutto ‘nel Mezzogiorno, tra gli stranieri e in contesti socioeconomici particolarmente difficili’. Nondimeno, nella seconda parte del 2021 l’impegno delle scuole ha consentito di ‘dotare di dispositivi informatici gli studenti che ne erano privi’ e solo l’1% non è risuscito ad accedere regolarmente alle lezioni online.

Fonte istat.it

sabato 9 luglio 2022

Ius scholae, sarà la volta buona?

Ius scholae è la nuova proposta di riforma per acquisire la cittadinanza italiana, ecco cos’è e cosa prevede

di Giovanni Pulvino

Foto da savethechildren.it

Dopo la bocciatura dello Ius soli e dello Ius culture si torna a discutere di riforma della cittadinanza. Il 9 marzo scorso la commissione Affari costituzionali della Camera ha dato parere favorevole al testo presentato da Giuseppe Brescia, deputato del M5S. La discussione alla Camera è iniziata il 30 giugno scorso. La proposta ha il sostegno del Pd, dei M5s di Italia Viva e di Forza Italia.

Con lo Ius soli chiunque fosse nato in Italia avrebbe acquisito automaticamente la cittadinanza. Invece, lo Ius scholae prevede: ‘l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte del minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che risieda legalmente in Italia, qualora abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola primaria, è necessario aver concluso positivamente il corso medesimo’.

Ovviamente la cittadinanza deve essere richiesta. Pertanto, è necessaria una dichiarazione di volontà che deve essere resa allo Stato civile del Comune di residenza entro il compimento del diciottesimo anno di età dell’interessato da un genitore legalmente residente in Italia o da chi ne ha la responsabilità genitoriale. Il minorenne potrà farlo entro due anni dal compimento della maggiore età.

Secondo la Rete per la Riforma della Cittadinanza ‘sono oltre un milione le persone in attesa di cittadinanza nel nostro Paese, in larga maggioranza giovani’. Gli alunni ‘stranieri’ che nell’anno scolastico 2019/2020 hanno frequentato le nostre aule sono stati 877mila (il 10,3% del totale), 20mila in più rispetto all’anno precedente. Il 65,4% sono nati nel nostro Paese.

Con le leggi attuali questi ragazzi potranno acquisire la cittadinanza italiana solo al compimento del diciottesimo anno di età. Fino ad allora, pur essendo nati in Italia sono considerati ‘stranieri’. Sono giovani e giovanissimi che parlano i nostri dialetti, vestono come i nostri ragazzi, siedono sugli stessi banchi, studiano sugli stessi libri, evidenziano pregi e difetti tipici degli italiani, eppure per la legge non lo sono.

Chissà se qualcuno di questi ‘invisibili’ sa che con la cittadinanza acquisirà anche un debito pro-capite di oltre 46mila euro. Ma forse, come tanti italiani ‘veri’, non ne sono a conoscenza.

Fonte savethechildren.it


mercoledì 27 aprile 2022

Corte costituzionale: illegittimo attribuire 'automaticamente' il cognome del padre ai figli

Sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre ai figli. A stabilirlo è una sentenza della Corte costituzionale

di Giovanni Pulvino

Palazzo della Consulta - (foto da wikipedia.org)

Sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre ai figli. A stabilirlo è una sentenza della Corte costituzionale.

Le norme censurate violano gli articoli 2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo è in relazione con gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.  

In pratica la Consulta ha dichiarato illegittima la norma che non consente ai genitori, quando sono di comune accordo, di attribuire al figlio/a il cognome della madre e quelle che in mancanza di un accordo impone il cognome del padre anziché quello di entrambi i genitori.

Quindi è giuridicamente non valida ogni norma che preveda l’attribuzione automatica del cognome del padre. La sentenza riguarda i figli nati nel e fuori dal matrimonio, nonché quelli adottivi.

Per la Corte i genitori devono poter condividere il cognome del figlio/a. In linea di principio esso dovrà assumere il cognome di entrambi. Ovviamente nell’ordine che essi avranno concordato. In alternativa e di comune accordo i genitori possono attribuire il cognome di uno dei due.

In caso di controversia sarà il giudice, in conformità all’ordinamento giuridico, a stabilire l’ordine da attribuire al cognome del figlio/a.

Ora, in attesa del deposito della sentenza, spetterà al legislatore regolare con apposita normativa la decisione presa dalla Corte costituzionale.

Fonte cortecostituzionale.it

sabato 16 aprile 2022

Povertà e disuguaglianza non sono casuali

Povertà e disuguaglianza non sono inevitabiliSono il risultato di precise scelte politiche  

di Giovanni Pulvino

Foto da unicef.it

La crescita economica degli ultimi decenni non ha ridotto le differenze tra i paesi ricchi e quelli poveri e tra le classi sociali. I dati di Oxfam Italia sono inequivocabili. 2,37 miliardi di individui soffrono la fame, 297 mila bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno per acqua contaminata, una persona su tre non ha accesso a farmaci essenziali, 120 milioni di bambine e bambini non possono andare a scuola.

Entro il 2030 sessantanove milioni di bambini con meno di 5 anni rischieranno di morire, a denunciarlo è l’Unicef. I più poveri hanno il doppio delle possibilità di perdere la vita rispetto a quelli più ricchi e 750 milioni di donne si sposeranno da bambine. Un neonato in Sierra Leone ha una probabilità di morire 30 volte superiore a quella di uno nato nel Regno Unito. Nell’Africa Sub Sahariana due bambini su tre vivono in condizioni di povertà estrema.

Siamo nel 2022 e le disuguaglianze anziché diminuire crescono. Cosa stiamo sbagliando? Dove abbiamo sbagliato?

'Investire sui più svantaggiati può dare benefici nell'immediato e nel lungo periodo'. Tutti dovrebbero poter accedere ‘all’acqua, al cibo, all’istruzione, all’assistenza sanitaria’.

Eppure, non è così. Il sistema economico capitalista ha fallito. Il principio secondo cui le economie ricche avrebbero dovuto trainare quelle povere per ‘emulazione’ si è dimostrato inadeguato. Le distanze tra ricchi e poveri aumentano. Il sistema crea privilegi ed ingiustizie. Non concede a tutti le stesse opportunità. 

Nondimeno, una distribuzione equa delle risorse, l’eliminazione dello sfruttamento minorile e non solo, la riduzione dell’orario di lavoro e del precariato e non ultima la lotta ai cambiamenti climatici che stanno provocando desertificazione ambientale e povertà, sono possibili. Se si vuole si può. Ma si vuole?

La diseguaglianza non è permanente o insormontabilebasta volerlo ed agire. 

Fonte oxfamitalia.org e unicef.it

sabato 19 febbraio 2022

‘DISUGUITALIA’

La disuguaglianza è risultato di precise scelte politiche’ ha dichiarato Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International

di Giovanni Pulvino

Foto da oxfamitalia.org

La pandemia dovuta al Covid-19 ha peggiorato le condizioni economiche delle famiglie italiane e ‘rischia di ampliare a breve e medio termine i divari economici e sociali preesistenti’. A sostenerlo è Oxfam nel nuovo rapporto ‘La pandemia delle disuguaglianze’ pubblicato pochi giorni fa.

‘Il 5% più ricco degli italiani - si legge nel report - deteneva a fine 2020 una ricchezza superiore a quella dell’80% più povero’.

Tra marzo 2020 e novembre 2021 ‘il numero dei miliardari italiani della Lista Forbes è aumentato di 13 unità e il valore aggregato dei patrimoni dei super-ricchi è cresciuto del 56%, toccando quota 185 miliardi di euro alla fine dello scorso novembre.’ Ed ancora. ‘I 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte)’.

Sergio Mattarella in occasione del suo secondo giuramento come presidente della Repubblica ha dichiarato: ‘Il persistere di diseguaglianze che abbracciano la sfera politica, economica e sociale contraddice il principio di equità e genera intollerabili discriminazioni. La crisi pandemica, inoltre, ha ulteriormente ampliato i divari esistenti, esacerbando la condizione di coloro che si trovano in situazioni di maggiore vulnerabilità’.

Come dargli torto.

Fonte oxfamitalia.org

mercoledì 19 gennaio 2022

‘La pandemia della disuguaglianza’

La disuguaglianza non è una fatalità, ma il risultato di precise scelte politiche’ ha dichiarato Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International

di Giovanni Pulvino

Agenda 2030, obiettivo 10: ridurre le disuguaglianze
(foto da wikipedia.it)

‘La pandemia della disuguaglianza’ è il titolo del nuovo rapporto pubblicato da Oxfam in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum che si tiene a Davos in forma virtuale.

Secondo l’organizzazione non profit dall'inizio 2020 alla fine del 2021 i 10 uomini più ricchi al mondo hanno raddoppiato i loro patrimoni. La loro ricchezza è aumentata di ‘15.000 dollari al secondo, di 1,3 miliardi al giorno’. E' passata da 700 a 1.500 miliardi. Essi ‘detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione, cioè 3,1 miliardi di persone’

Il solo Jeff Bezos (Amazon) ha guadagnato 81,5 miliardi di dollari, somma sufficiente per vaccinare tre volte l’intera popolazione mondiale con due dosi e booster.

Nello stesso tempo ‘163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia’.

Secondo Oxfam ‘ogni 4 secondi 1 persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, per fame, per violenza di genere. Fenomeni connotati da elevati livelli di disuguaglianza’.

Mentre le grandi aziende farmaceutiche (Pfizer, BioNTech e Moderna) hanno realizzato utili per 1.000 dollari al secondo meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi più poveri e solo il 4,81% della loro popolazione è stata vaccinata.

‘Le banche centrali hanno pompato miliardi di dollari nei mercati finanziari per salvare l’economia, ma gran parte di queste risorse sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario’ ha detto Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International.

Fonte oxfamitalia.org

sabato 23 ottobre 2021

In Italia anche chi lavora è povero

Negli ultimi trent’anni i salari sono aumentati in tutti i paesi europei, ma non in Italia, a certificarlo sono i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico

di Giovanni Pulvino

L'incremento dei salari medi in Europa negli ultimi trent'anni
Foto da openpolis.it

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro la pandemia ha causato una riduzione della ‘massa salariale’ del 6,5%. Il taglio delle ore lavorative è stato compensato in parte con le misure di salvaguardia prese a livello nazionale dai singoli governi.

Nel nostro Paese il calo dei salari non é stato determinato solo al Coronavirus.

Nel 2020 le retribuzioni medie più alte sono state rilevate nei paesi dell’Europa nord-occidentale, mentre quelle più basse in quelli dell’Europa centrale e meridionale. Secondo i dati Ocse in Estonia, Lettonia e Lituania (+276,3%) i salari sono triplicati. In Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia sono raddoppiati. Aumenti modesti, invece, sono stati rilevati in Spagna, Portogallo e Grecia.

Nello stesso periodo in Francia ed in Germania i salari medi sono cresciuti di oltre il 30%, negli Stati Uniti quasi del 50%. In Italia invece, rispetto al 1990, sono diminuiti del 2,9%. Allora eravamo al settimo posto nella classifica per livello di salari, oggi il nostro Paese è tredicesimo.

Eppure, il Pil medio italiano delle persone occupate negli ultimi trent’anni è cresciuto. È passato da 83 mila a circa 85 mila dollari. Allora perché i salari medi sono diminuiti?

Le spiegazioni sono diverse. Le delocalizzazioni iniziate alla fine del secolo scorso hanno diminuito le opportunità occupazionali. Un incremento dell’offerta di lavoro rispetto alla domanda determina un calo dei salari, almeno per quelli più bassi. La necessità di contenere i deficit del bilancio statale ha ridotto gli investimenti pubblici, questo ha causato una riduzione delle opportunità di lavoro qualificate e ben retribuite. Le riforme del sistema pensionistico e quelle del mercato del lavoro hanno fatto il resto. In particolare, quelle introdotte all’inizio del secolo hanno aumentato i tipi di contratto di lavoro a termine dove le retribuzioni sono più basse e le tutele spesso inesistenti.

La ricchezza prodotta negli ultimi tre decenni è stata distribuita in modo diseguale, almeno in Italia. Nel nostro Paese anche chi lavora è povero. L'incremento dei profitti delle imprese non ha determinato un aumento dell'occupazione, ma solo precarietà e disuguaglianze.

È una visione miope, ma questo è.

E non è un caso che la tendenza sia cominciata all’inizio degli anni Novanta, da quando, cioè, la 'Sinistra' non fa più la ‘Sinistra’ e quando questo succede a pagare sono sempre i lavoratori e gli ultimi.

Fonte Ocse

sabato 2 ottobre 2021

In Prefettura ‘mi chiamavano San Lucano’

L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo’. Sofocle (497 a.C. – 406 a.C.)

di Giovanni Pulvino

Foto da Twitter, @Lucrezi97533276

Quando parlano di associazione a delinquere dovevano mettere insieme a me anche il ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria perché allora mi chiamavano <San Lucano> in Prefettura perché gli risolvevo i problemi degli sbarchi. Perché a Riace c'era un'organizzazione dell'accoglienza, c'erano le associazioni, le coop e alla fine lo Stato mi ripaga dicendo che ho fatto l'associazione. Allora se ho fatto l'associazione anche loro sono partecipi perché mi chiedevano numeri altissimi per un piccolo borgo ai quali dicevo sì per la mia missione. E lo Stato come mi ripaga? Dandomi 13 anni e 2 mesi’. A dirlo a lastampa.it è Domenico Lucano.

Il 24 marzo scorso Luca Traini che girava armato con l’intenzione di uccidere i migranti che avrebbe incontrato per strada è stato condannato per strage a 12 anni di reclusione. Per la giustizia italiana è più grave accogliere chi ha bisogno commettendo qualche illecito amministrativo, sempreché ci sia stato veramente, che il tentativo ripetuto di omicidio per odio razziale. Qualunque sia la motivazione della sentenza una cosa è certa: la Giustizia in Italia non funziona.

Mimmo Lucano è colpevole di aver usato illecitamente gli asini per la raccolta differenziata? Per aver favorito il matrimonio delle giovani donne immigrate con i vecchi del paesino calabro al solo scopo di evitarne l’espulsione? Tutti gli atti dell'ex sindaco di Riace erano diretti a salvare vite umane e a ridare dignità alla piccola comunità in continuo spopolamento. Dov’è il reato?

Un esempio di accoglienza per l’Europa, si diceva e si ripeteva. Invece per il Tribunale di Locri quello che è avvenuto nel piccolo paesino della provincia di Reggio Calabria è un crimine. Adoperarsi per salvare e dare dignità a chi fugge dal proprio paese con la speranza di una vita migliore è un illecito penale oltreché amministrativo.

'Trattare' con la Mafia non è illegale, mentre salvare vite è associazione a delinquere, ma che paese è il nostro? I successivi gradi di giudizio probabilmente cambieranno tutto, non sarebbe la prima volta che accade, ma intanto resta questa incredibile sentenza.

Non sappiamo se Mimmo Lucano ha commesso degli illeciti amministrativi e penali, di certo se lo ha fatto non è stato per arricchirsi o per un tornaconto personale. La sua unica ‘colpa’ è stata quella di essere stato utile al prossimo, nient’altro. 

Resta il fatto che la solidarietà degli amministratori e degli abitanti di questa piccola comunità meridionale è stata ritenuta un reato. Se è così, e siamo certi che è così, allora siamo in tanti ad aver commesso questo crimine. E siamo pronti a commetterlo ancora e poi ancora ed ancora, perché, lo sappiano tutti i procuratori ed i magistrati di questo Paese, non potremo cambiare mai la nostra predisposizione naturale alla solidarietà e all’amore per il prossimo. 

#iostoconmimmolucano.

Fonte lastampa.it

martedì 20 luglio 2021

I poveri finanziano le pensioni dei ricchi

La relazione annuale del presidente dell’Inps certifica gli squilibri del sistema pensionistico e propone modifiche sostanziali

di Giovanni Pulvino 

Foto da inps.it

A parità di coefficienti di trasformazione e di età di pensionamento, i cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo’. Questo è quanto si legge nella relazione annuale del presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Ed ancora: ‘E’ chiaramente auspicabile intervenire per attenuare le differenze attuariali. Ad esempio, modulando l’età di pensionamento, correggendo i coefficienti di trasformazione, individuando le condizioni di lavoro usuranti e/o gravose e riconoscendo i territori a maggior rischio ambientale’.

Il sistema pensionistico è un coacervo di ingiustizie. L’indennità di quiescenza è stata introdotta per garantire un reddito minimo a chi non è in grado di svolgere un‘attività lavorativa. Le pensioni d’oro non dovrebbero esistere e neanche le differenze di età o di emolumento, ma così non è.

I pensionati erano e sono un importante bacino elettorale. Molte agevolazioni sono state introdotte per carpirne il consenso. Le pensioni baby, quelle di anzianità, i prepensionamenti, la reversibilità e persino i vitalizi dei parlamentari sono solo alcuni esempi di questa babele. I ‘politicanti’ hanno creato un sistema squilibrato che ha determinato continui disavanzi di bilancio. Non si poteva andare avanti così, occorreva porvi rimedio.

Il sistema che abbiamo oggi è il frutto di questa esigenza.

Le numerose riforme approvate dal Parlamento a partire dagli anni Novanta hanno creato un sistema complicato e pieno di ingiustizie.

La prima riguarda l’età. Fino al 1993 si poteva maturare il diritto alla quiescenza prima di compiere cinquant’anni. Ci sono cittadini che hanno o stanno percependo la pensione da oltre 40 anni. Oggi alcuni vanno a sessant’anni, altri a sessantadue, altri ancora a 64, poi ci sono quelli che ci andranno oltre i 67 anni. In tanti non ci andranno mai, è una ingiustizia insopportabile.

La seconda iniquità riguarda l’ammontare dell’assegno. Si sa c’è un'enorme differenza tra il sistema retributivo e quello contributivo. Con il secondo l’assegno percepito dipende dai contributi versati. Ed è ovvio che ad esserne favoriti sono coloro che nel corso della loro vita hanno avuto un lavoro stabile e ben retribuito, mentre chi ha avuto lavori precari o è stato spesso disoccupato, si ritroverà con una pensione da ‘fame’. Poveri durante l’età lavorative e ‘poveracci’ durante il periodo di quiescenza.

La relazione annuale del presidente dell’Inps certifica questa situazione e popone delle modifiche. E di certo queste non possono essere quota 100 e ne potrà essere quota 102. Il limite di età dovrebbe essere uguali per tutti. Come uguale o quasi dovrebbe essere l’indennità pensionistica. Non è accettabile che ci siano pensionati che incassano ogni mese decine di migliaia di euro ed altri che percepiscono poco più di 500 euro. L’articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva è chiaro, ma è disatteso.

Per i nostri ‘politicanti’ non dovrebbe essere difficile approvare questo tipo di riforme, quando c’è da elargire e concedere sono sempre rapidissimi, mentre quando è necessario imporre sacrifici e rigore arrivano i governi tecnici, sostenuti quasi sempre, chissà perché, dalla Sinistra. 

Ma non accadrà nulla. Come dice il proverbio: ‘Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato, ha dato’. Tanto a pagare per tutti sono sempre gli stessi.

Fonte inps.it

sabato 19 giugno 2021

La guerra tra poveri la vincono i ricchi

Immigrati e minori sono i poveri tra i poveri. A sostenerlo è il rapporto pubblicato dall’Istat

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da identitainsorgenti.it

Secondo le stime dell’Istat nel 2020 un milione 337mila minori viveva in povertà assoluta. Dato che corrisponde al 13,5% del totale, mentre quello degli individui a livello nazionale è al 9,4%. La situazione è peggiorata rispetto al 2019 (11,4%). L’incremento maggiore è stato registrato al Nord (da 10,7% a 14,4%). Nel Centro la percentuale è aumentata da 7,2% a 9,5%. Ovviamente quella più alta è sempre nel Mezzogiorno con il 14,5%.

Molto elevata è la povertà assoluta tra gli stranieri. Secondo il rapporto dell’Istituto di statistica sarebbero oltre un milione e 500mila individui. L’incidenza è del 29,3%, mentre per gli italiani è del 7,5%.

Le famiglie con stranieri in condizioni di estrema indigenza sono il 28,3%, cioè oltre 568mila. Ed è del 26,7% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri (nel 2019 era del 24,4%).

Il Reddito di cittadinanza e le misure economiche adottate dal Governo negli ultimi 15 mesi come il Reddito di emergenza non sono stati sufficienti a porre rimedio ad un dramma sociale vissuto da milioni di persone.

I sostegni ed i ristori hanno raggiunto, secondo l’osservatorio dell'Inps, circa quattro milioni di individui. A maggio 1,3 milioni di famiglie hanno beneficiato del Reddito o Pensione di Cittadinanza (+16% sul 2020). L’importo che hanno percepito è stato in media di 552 euro mensili. 433mila sono le famiglie che hanno ricevuto almeno un pagamento per il Reddito di Emergenza previsto nel Dl Sostegni. La Campania è la Regione con il numero più alto di nuclei che hanno riscosso il Rdc (255.245), quasi come l’intero Nord.

Non può esserci libertà senza giustizia sociale’, ripeteva sempre Sandro Pertini. Come dargli torto. Siamo nel 2021 ma le disuguaglianze anziché diminuire crescono. Cosa stiamo sbagliando? Dove abbiamo sbagliato? I lavoratori hanno bisogno di un’occupazione stabile e pagata adeguatamente, non di impieghi precari o di assistenza. 

La dignità umana, almeno per la maggioranza degli individui, non può prescindere dal lavoro. Ed è altrettanto certo che la guerra tra poveri la vincono i ricchi, sempre. 

Fonti istat.it e inps.it

mercoledì 16 giugno 2021

Istat: famiglie ‘sicuramente povere’ soprattutto nel Mezzogiorno

L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it

Torna a salire la povertà assoluta. A sostenerlo è il rapporto pubblicato dall’ISTAT. Secondo le stime dell’Istituto di ricerca pubblico nel 2020 erano oltre due milioni le famiglie in povertà assoluta (7,7% del totale). Si tratta di 5,6 milioni di individui, cioè il 9,4% dei residenti nel nostro paese. In aumento dell’1,6% rispetto al 2019.

Nel Mezzogiorno l’incidenza si conferma più alta, lo scorso anno è passata dall’8,6% del 2019 al 9,4%. Mentre nel Nord è salita al 7,6% dal 5,8%.

Cala anche se di poco il tasso di povertà relativa. Le famiglie in tali condizioni sono circa 2,6 milioni (10,1%). Si tratta di oltre 8 milioni di individui (13,5%).

A livello territoriale l’incidenza più alta si registra al Sud con il 18,3%, mentre nel Nord si attesta al 6,3% ed al Centro al 6,4%.

Le regioni con i tassi di povertà relativa più alti sono la Basilicata (23,4%), la Campania e la Calabria (20,8%), mentre le percentuali più basse sono state registrati in Trentino-Alto Adige (4,3%), in Emilia-Romagna (5,3%) e in Valle d’Aosta (5,4%).

Le famiglie ‘sicuramente povere’ cioè con livelli di spesa mensile sotto la media standard di oltre il 20% sono il 4,5%, nel Mezzogiorno sono l’8,6%.

I nuclei familiari ‘appena poveri’ cioè con una media di spesa mensile non oltre il 20% rispetto al livello medio sono il 5,6%, al Sud il 9,8%. Mentre è ‘quasi povero’, cioè con una spesa mensile superiore alla media ma non oltre il 20%, il 7,3% del totale, al Sud è il 5,3%.

Le famiglie ‘sicuramente non povere’ sono l’82,6% del totale, nel 2019 erano l’81,4%.

Fonte istat.it

martedì 31 marzo 2020

Bonus una tantum di 600 euro al via, ecco come richiederlo

Da oggi è possibile presentare le domande per usufruire del bonus una tantum di 600 euro, ecco come richiederlo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da inps.it
La domanda si potrà fare online accedendo al portale dell’Inps utilizzando le relative credenziali, cioè il Pin oppure lo Spid, la Carta di identità elettronica e la Carta dei sevizi, oltre al Contact center. Chi non si è già attrezzato può utilizzare un Pin semplificato rilasciato dall’Istituto.
I soggetti beneficiari del bonus una tantum di 600 euro sono i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i collaboratori coordinati e continuativi (che hanno una partita Iva attiva almeno dal 23 febbraio 2020), i lavoratori stagionali e quelli dello spettacolo. L’indennità è prevista anche per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali che abbiano perso involontariamente il rapporto di lavoro tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che non abbiamo altri rapporti di lavoro dipendente.
L’importo erogato non contribuisce alla formazione del reddito e non è prevista nessuna contribuzione figurativa. I beneficiari non devono essere titolari di pensioni e non devono essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Tuttavia, esso è cumulabile con l’indennità di disoccupazione per i Co.Co.Co. e con la Naspi (l’assegno ordinario di disoccupazione) incassata dai lavoratori stagionali e dello spettacolo.
Il Governo ha già detto che il bonus verrà prorogato ed aumentato a 800 euro, ma saranno introdotti criteri di selettività per evitare che l’indennità vada a chi non ne ha bisogno.

Fonte inps.it

sabato 29 giugno 2019

Aurelio De Laurentis: ‘Gli operai della Fiat venivano importati dal Sud’


Questa frase pronunciata pochi giorni fa dal presidente della Ssc Napoli, Aurelio De Laurentis, fotografa la storia economica e sociale del nostro Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da tiscali.it
La nostra competitor di sempre, per un fatto di tifo, è la Juventus che, ovviamente, avendo un altro tipo di fatturato ed essendo nata oltre 100 anni fa, ha consolidato sotto la stessa proprietà una capacità di avere un numero di tifosi d’Italia che raggruppa tutti gli insoddisfatti del Sud. Gli operai della Fiat, ad esempio, venivano importati dal Sud, i veri torinesi per la maggior parte tifano Torino e non Juventus. Questo movimento creato dalla famiglia Agnelli è difficile da sradicare e poi nessuno vuole sconfiggere nessuno, lo sport è bello per questo. La Juventus è difficile da sradicare ma il Napoli ha fatto passi da gigante professionale, con grande rispetto per i valori della maglia. Siamo l’unica squadra in Italia che da dieci anni compete in Europa, ciò vuol dire che abbiamo fatto passi da gigante’.
Questa dichiarazione è stata rilasciata pochi giorni fa dal presidente della Ssc Napoli Aurelio De Laurentis. In Serie A ci sono venti squadre, di queste solo due sono club del Sud (Napoli e Cagliari) e soltanto uno dei due è in grado di competere con quelli del Nord. Quel che è peggio è che la stragrande maggioranza dei meridionali tifa Juventus, Inter e Milan. Lo sport ed il calcio in particolare sono l’emblema del divario economico e sociale che si è creato nel nostro Paese.
Le differenze strutturali tra Nord e Sud sono il risultato di un lungo processo storico. La lontananza dai mercati di sbocco e l’incapacità dei meridionali di incidere sulle decisioni politiche ed economiche del Paese hanno determinato un dualismo difficilmente risolvibile. Le responsabilità sono tante. La prima è dei meridionali che si 'accontentano' e che non sono capaci di emanciparsi dalla condizione di sudditanza sociale ed economica in cui si trovano da sempre. La situazione si è aggravata negli ultimi tre decenni, da quando cioè dall’attuazione di politiche meridionaliste si è passati al cosiddetto ‘federalismo fiscale’. Nell’era dell'informatizzazione e della globalizzazione il Nord opulento non ha più bisogno delle ‘cattedrali nel deserto’ erette negli anni Sessanta e Settanta, il Sud è diventato un peso da utilizzare solo in campagna elettorale e come mercato di sbocco per i prodotti delle imprese 'padane'. Ma non è finita.
Il governo ‘gialloverde intende sancire l’accordo sulle autonomie regionali di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, le aree più ricche del Paese. Se qualcuno, soprattutto meridionali, non avesse ancora capito di cosa si tratta è opportuno precisare che questa sarebbe la ‘mazzata’ definitiva per il futuro del Mezzogiorno. Il divario economico già ampio diventerebbe incolmabile, ma forse è questa la volontà politica di gran parte delle forze politiche presenti oggi in Parlamento ed è quello che, va detto, molti meridionali si meritano.  

giovedì 27 giugno 2019


Incidenti sul lavoro, nel 2018 oltre tre morti al giorno

1.218 'morti bianche' denunciate nel 2018, 391 nei primi cinque mesi del 2019, ma perquanto tempo ancora dovremo assistere a queste tragedie?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da portaleconsulenti.it
‘Il sogno di Sceila sarebbe quello di intitolare una strada del paese al suo Riccardo. Vorrebbe tanto fare come Gloria Puccetti, la mamma di Matteo Valenti, morto in fabbrica a causa di un incendio che nessuno ha saputo spegnere per mancanza delle misure di prevenzione e della formazione necessaria. Due anni fa Gloria è riuscita a installare una piccola statua in ricordo di Matteo, sul lungo canale in Darsena a Viareggio. <Ho un altro figlio che è venuto ad abitare proprio di fronte alla statua - racconta Gloria -. Quando esce con gli amici si dà appuntamento “davanti alla statua”, mangia vicino alla statua. È diventato il nostro punto di riferimento, il nostro modo per andare avanti. L’altro giorno è passata una ragazzina con il cellulare, si è fatta un selfie con lui, probabilmente senza sapere chi fosse. Io sono stata felice>’Questa storia è una delle tante che Marco Bazzoni, operaio delegato Fiom Cgil, raccoglie ogni mattina prima di andare al lavoro. Un elenco infinito di ‘morti bianche’, di lavoratori che si sono recati sul posto di lavoro, ma che non hanno mai fatto ritorno nella loro casa. Per quanto tempo ancora dovremo assistere a queste tragedie? 
Le nuove tecnologie e l’informatizzazione dei processi produttivi hanno incrementato i profitti delle aziende, ma non si stanno dimostrando utili a rendere i luoghi di lavoro idonei a garantire e tutelare la salute dei lavoratori. L’obbligo che hanno gli imprenditori di adottare le misure sulla sicurezza e sui corsi di formazione previsti dalla legge non è sufficiente ad impedire gli incidenti mortali. 
Il presidente dell’Inail, Massimo Felice, ha presentato ieri la Relazione annuale 2018 sui dati relativi agli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. L’Istituto ha registrato poco più di 645mila denunce di infortunio, in lieve diminuzione rispetto al 2017 (-0,3%). Quelli riconosciuti dall’Inail sono stati circa 409mila con una riduzione del 4,3% rispetto all’anno precedente. Le denunce per gli infortuni mortali sono state 1.218 (+6,1% rispetto al 2017). Quelli accertati dall’Istituto sono stati 704, cioè il 4,5% in più rispetto al 2017. Di questi 421 (60%) sono avvenuti ‘fuori dell’azienda’. 
La situazione sta peggiorando nel 2019. Nei primi cinque mesi i casi mortali denunciati all’Inail sono stati 391, due in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Mentre le denunce sono sostanzialmente invariate. I casi di malattie professionali registrati nel 2018 sono stati circa 59.500, in aumento del 2,6% rispetto all’anno precedente. Nei primi cinque mesi del 2019 le denunce sono invece in lieve incremento (+1,4%). 
Mentre il vicepremier Matteo Salvini 'gioca' con la vita dei migranti della Sea-Watch 3 e non solo e l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, ‘bisticcia’ con il collega di partito Alessandro Di Battista in Italia si continua a morire sui luoghi di lavoro. Per chi ci governa questo argomento non é 'interessante', non fa guadagnare voti, allora, per loro, è meglio occuparsi d’altro. 






domenica 23 giugno 2019



Sea-Watch 3, ‘la nave fantasma’

‘Ancora 6 morti allargo di Lesbo, tra cui una bambina. Rischiamo di leggere notizie del genere ogni giorno, perché le persone continueranno a cercare di arrivare in Europa.Servono corridoi umanitari subito, non possiamo abituarci a questa strage continua’,Pietro Bartolo, 11 giungo 2019

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da sea-watch.org
Porti chiusi e divieto di sbarco non fermano l’arrivo dei migranti. Dopo le elezioni europee l’emergenza ‘arrivi’ sembra non esserci più, almeno essa è scomparsa o quasi come notizia dai principali mezzi di comunicazione e dalla propaganda politica dei grillini e dei leghisti. Eppure, gli sbarchi non si sono mai interrotti. Venerdì scorso 100 profughi sono stati individuati dalle pattuglie dei carabinieri e della polizia di Trieste. Altri 100 sono arrivati nelle stesse ore a Lampedusa con il sistema della ‘nave madre’. La traversata del Mediterraneo è avvenuta su un peschereccio, ma quando era a poche miglia dalla costa i trafficanti hanno fatto salire i migranti su un natante più piccolo e li hanno lasciati al loro destino. I nuovi arrivati hanno dichiarato di essere partiti dalla Libia. Mercoledì 45 profughi sono stati portati a terra da una motovedetta della Guardia di finanza che li ha avvistati quando era in prossimità di Lampedusa. I nuovi arrivati, tra cui due bambini ed una donna incita, sono del Senegal, Costa d’Avorio, Somalia e Kenya. La settimana scorsa altri tre sbarchi. Con una piccola imbarcazione sono arrivati 38 migranti. Lo stesso era avvenuto nei due giorni precedenti con l’arrivo di 20 uomini, 17 donne ed una bambina. I profughi sono partiti dalla Libia e sono della Costa d’Avorio, della Guinea e della Tunisia.
Foto da sea-watch.org
Insomma, come afferma da mesi il sindaco della piccola isola siciliana, Totò Martello: ‘il porto di Lampedusa non è stato mai chiuso ed i migranti continuano ad arrivare’. Si tratta di piccole imbarcazioni che con l’arrivo dell’estate sono destinate ad aumentare.
Anche in Calabria gli ‘sbarchi fantasma’ oramai sono quotidiani. Due unità navali della Guardia di finanza sono intervenute la settimana scorsa per soccorrere 53 migranti di nazionalità pachistana. I disperati erano a bordo di un natante di appena quindici metri di lunghezza. Tra loro c’erano dieci minori. Gli scafisti di nazionalità ucraina sono stati arrestati. Poi ci sono gli emigranti che arrivano in aereo dalla Germania. Secondo quanto riferisce Tonia Mastrobuoni su Repubblica del 16 giugno scorso in 6 mesi la Germania ha trasferito in aereo quasi 1200 migranti. ‘Legati e sedati. Chi si oppone al trasferimento dopo un po' è seduto in aereo addormentato", dicono diversi testimoni.
Per il ministero degli Interni, Matteo Salvini, la situazione è sotto controllo e gli arrivi su piccole imbarcazioni sono comunque diminuiti rispetto allo scorso anno. Insomma, dopo le elezioni europee gli sbarchi non sono più un’emergenza, finita la campagna elettorale il problema, almeno per ora, è risolto o tale deve sembrare.
Nel frattempo, la Sea Watch 3 con i suoi 42 migranti a bordo rimane bloccata davanti a Lampedusa. Ormai è come ‘la nave fantasma’ del celebre film del 1980 di Alvin Rakoff. È lì a 15 miglia dal porto, ferma da 11 giorni con il suo carico di disperati, ma non può attraccare, per il ministro degli Interni è una questione chiusa e non importano gli appelli dell'Alto commissariato per i rifugiati (Acnur) e quelli del medico di bordo.
E non importa neanche se, intanto, altre decine di centinaia di migranti, anch’essi fantasma, continuano ad arrivare.






martedì 18 giugno 2019


I poveri sono circa 5 milioni, ma le richieste per il Rdc sono circa un milione, com’è possibile?

I dati sul numero di poveri stimati dall’Istat per il 2018 sono in netto contrasto con le domande presentate per il Reddito di cittadinanza, com'è possibile? Ecco tre possibili spiegazioni

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it
L'Istat stima che le famiglie in povertà assoluta sono oltre 1,8 milioni, cioè il 7% del totale che corrisponde a circa cinque milioni di individui (8,4% del totale). Non ci sono secondo l’Istituto di statistica ‘variazioni significative rispetto al 2017’. Le famiglie in condizioni di povertà assoluta sono soprattutto nel Mezzogiorno. Nel Sud l’incidenza è del 9,6% e del 10,8% nelle Isole. Nel Nord-ovest, invece, è del 6,1% e nel Nord-est e nel Centro del 5,3%. Anche se la maggior parte dei nuclei familiari risiedono nel Nord (45,7% rispetto al 31,7% del Sud), sottolinea l’Istat, il maggior numero di famiglie povere si trova nel Meridione (45,1% rispetto al 39,3% del Nord e del 15,6% del Centro). L’Istituto stima poco più di tre milioni di famiglie in condizioni di povertà relativa, cioè l’11,8% del totale che corrisponde a circa 9 milioni di individui. Il fenomeno nel 2018 si è aggravato nel Nord, dove è passato dal 5,9% del 2017 al 6,6% del 2018, mentre nel Mezzogiorno l’Istituto di statistica stima un leggero miglioramento, dal 24,7% del 2017 al 22,1% del 2018. In particolare, nel Sud è passato dal 24,1% al 22,3% e nelle Isole dal 25,9% al 21,6%. La regione con la maggiore incidenza di poveri è la Calabria (30,60%), seguita dalla Campania (24,90%) e dalla Sicilia (22,50%).
Questi dati, che confermano la gravità della situazione italiana ed in particolare il divario tra Nord e Sud, sono in netto contrasto con le richieste per il Reddito di cittadinanza. Ad aprile esse erano, secondo l’Inps, 1.016.977. Il maggior numero di domande è stato presentato in Campania (172.175), seguita dalla Sicilia (161.383). Nel Lazio sono state 93.048, in Puglia 90.008 e in Lombardia 90.296. Mentre il minor numero di richieste è stato registrato in Valle d’Aosta (1.333), seguita dal Trentino (3.695) e dal Molise (6.388).
Di fronte a questa situazione i nostri governanti dovrebbero chiedersi: com’è possibile che a fronte di circa 5 milioni individui che vivono in povertà assoluta e ad altri 9 milioni che sono a rischio di esclusione sociale le richieste del Rdc siano poco più di un milione? Ad oggi nessuna riflessione è stata fatta, ma forse è chiedere troppo in un’epoca di selfie e fakenews.
Ecco tre possibili spiegazioni, ma di sicuro c’è ne sono tante altre. La prima è che tra gli indigenti ci sono tanti finti poveri e, di conseguenza, altrettanti piccoli evasori fiscali. La seconda ipotesi è che tanti indigenti pur di racimolare il minimo indispensabile per sopravvivere sono disposti a lavorare ‘a nero’ o, se si tratta di imprenditori o professionisti a non dichiarare tutto il ricavato delle loro micro-attività. Oppure il meccanismo di accesso al Rdc è così stringente che in tanti hanno rinunciato per l’esiguità dell’importo erogato o non hanno potuto fare la domanda. Tra questi ultimi di certo ci sono la gran parte del milione e mezzo di poveri stranieri stimato dall’Istat. Insomma, con il Rdc milioni di poveri rimarranno poveri, nonostante le esultanti affermazioni del vicepremier Luigi Di Maio.

Fonti: istat.it e inps.it


domenica 12 maggio 2019

Il lavoro che non c’è, almeno che non c’è per tutti. Ecco come porvi rimedio


Le previsioni sul mercato del lavoro per i prossimi decenni sono inequivocabili: milioni di posti di lavoro saranno svolti dai robot e, di conseguenza, molti lavoratori rimarranno senza occupazione. Ecco come porvi rimedio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Banksy, murales - Foto da diggita.it
Agli albori della rivoluzione industriale (inizio XIX secolo) nacque il movimento ‘luddista’. Nelle fabbriche con i nuovi macchinari si produceva di più, ma si riducevano i posti di lavoro. Per alcuni anni i lavoratori, capeggiati da Ned Lud, protestarono distruggendo i macchinari, ritenuti responsabili della perdita del posto di lavoro. Poi essi capirono che il problema non erano le nuove tecniche produttive, ma la diseguale distribuzione della ricchezza prodotta. Oggi sta avvenendo la stessa cosa. Innovazione tecnologica ed informatizzazione stanno riducendo i posti di lavoro e la disoccupazione sta diventando sempre più strutturale, cioè permanente. Nel nostro Paese la situazione è già grave. Il tasso di disoccupazione stimato dall’Istat è del 10,2%. Nel 2018 il tasso di occupazione era del 58,9%, ma se nel Nord era del 67,3% e nel Centro del 63,2%, nel Mezzogiorno era del 44,5%. Inoltre, molti contratti sono a temine, cioè sono lavori precari e, spesso, mal pagati. Lasituazione è particolarmente difficile nel Meridione, dove sommerso e lavoro nero sono la prassi per molte attività imprenditoriali. 
La mancanza di investimenti adeguati in queste regioni non è frutto solo dell’atavica incapacità d’iniziativa imprenditoriale dei meridionali, ma è la conseguenza di precise scelte di politica economica. Il federalismo fiscale attuato dai governi nazionali negli ultimi tre decenni ha impoverito il Sud. Inoltre, la presenza della criminalità organizzata e la distanza dai mercati di sbocco hanno limitano gli investimenti esteri e quelli pubblici. Insomma, il lavoro non c’è, almeno non c’è per tutti, e non c’è soprattutto in alcune aree geografiche del Paese. Non solo ma in futuro, con le nuove tecnologie i disoccupati aumenteranno e con essi i poveri, e, comunque, coloro che sono a rischio di esclusione sociale. Si può porre rimedio a tutto questo? La soluzione c’è ed è semplice, ma è difficile da applicare. Occorre ridurre le disuguaglianze con una equa redistribuzione della ricchezza prodotta. Questo può avvenire in diversi modi. 
Innanzitutto, introducendo nuove imposte, ma è difficile farlo in un mercato globalizzato, dove basta un clic sul computer per spostare masse ingenti di risorse finanziarie. La delocalizzazione non è solo produttiva ma anche di capitali ed è un fenomeno destinato a durare nel tempo. Le imprese si spostano dove maggiori sono i profitti e dove la tassazione è minore. È la logica del capitalismo. Una misura di questo genere potrebbe essere efficace solo con un provvedimento di riforma fiscale emanato dell’Unione europea. Oppure sotto la spinta di un grande movimento sindacale e politico come quelli che si sono affermati nel secolo scorso.
Un altro modo è intervenire direttamente sul mercato del lavoro. Poiché le ore disponibili non sono sufficienti a garantire a tutti un reddito ed una vita dignitosa, l’unica soluzione possibile è ridurre l’orario di lavoro mantenendo e, possibilmente, incrementando i livelli retributivi attuali. Meno ore di lavoro, più occupazione e retribuzioni più alte. Un'altra possibilità è un reddito minimo garantito a tutti, ricchi compresi. Del resto, il sistema ad economia mista si fonda sui consumi, ma questi non possono crescere sempre a debito, è più logico redistribuire la ricchezza e dare a tutti la possibilità di vivere in modo dignitoso. 
Le soluzioni ci sono e se si vuole sono semplici da attuare, ma perché non si mettono in pratica? La risposta è ovvia: chi ha tanto vuole ancora di più e non è disposto a cedere una parte della sua ricchezza a chi non ha nulla o quasi. È un fatto culturale e di giustizia sociale. Occorre vincere gli egoismi e ridurre le disuguaglianze sociali. Ci vuole tempo, ma prima o poi lo capiranno anche coloro che governano gli Stati e l’economia, almeno così dovrebbe essere.


Fonte istat.it

 giovedì 18 aprile 2019


A Palermo i disperati sono disposti a tutto, anche a farsi spezzare braccia e gambe per pochi euro

Sono gli ultimi tra gli ultimi, sono emarginati, migranti e tossicodipendenti e sono disposti a tutto pur di racimolare qualche euro  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da agrigentonotizie.it
La notizia di pochi giorni fa della truffa alle assicurazioni organizzata a Palermo (Tantalo 2) dovrebbe indignare, invece è passata quasi sotto silenzio. Poche righe sui giornali e servizi televisivi di routine. Poveri, emarginati, immigrati 'clandestini', tossicodipendenti, sono stati vittime e, nello stesso tempo, complici di truffatori senza scrupoli. La vicenda non è la solita notizia di cronaca. La ferocia degli aguzzini e la disponibilità a subire le mutilazioni da parte delle vittime sono fuori dal senso comune. Per certi aspetti sono inspiegabili ed incredibili. 
Il racconto fatto da alcuni di loro è ‘agghiacciante’. Una giovane madre senza lavoro e con due figli da mantenere ha riferito di aver acconsentito a subire la frattura di una caviglia e di un braccio dopo un’anestesia fatta in un capannone a Bagheria. Il tutto per soli 700 euro. La somma corrisposta dai truffatori era di 300 euro per la frattura di un braccio e di 400 euro per quella di una gamba, ma a volte veniva negata anche questa miseria.
Lo scopo dei malavitosi era quello di truffare le assicurazioni. Una pratica diffusa, per cui gli automobilisti finisco per pagare alti premi assicurativi per compensare i rimborsi illeciti di falsi incedenti automobilistici.
In questa vicenda l’aggravante sta nel fatto che le vittime erano complici e disposte a subire, per pochi euro, lesioni fisiche gravi e particolarmente dolorose. Gli aguzzini, dopo aver iniettato un anestetico, usavano spranghe di ferro o pezzi di cemento armato per procurare le fratture. Poi periti compiacenti predisponevano il finto incidente automobilistico e la richiesta di risarcimento del danno. Scontato il fatto che ai poveri disgraziati andavano poche centinaia di euro, mentre i truffatori si intascavano i lauti risarcimenti assicurativi. Secondo al Guardia di finanza si tratta di circa un milione e seicentomila euro.
Questo fatto dovrebbe farci riflettere e chiedere, ma com’è possibile che nel 2019 ci siano persone disposte a fare o subire tanto? La miseria e l’emarginazione di alcune categorie di soggetti è arrivata a tal punto da indurli a tutto o quasi pur di racimolare pochi euro. Non sono solo poveri, si tratta di disperati che per sopravvivere si affidano a dei delinquenti senza scrupoli. È un’umanità che va difesa, invece spesso è emarginata. Dovrebbe essere un’emergenza nazionale, al centro del dibattito parlamentare, ma per i nostri politici i problemi sono altri. 

 

venerdì 12 aprile 2019

La mia storia, la mia Italia, la mia parte di debito pubblico

'Son, take a good look around, this is your hometown, ragazzo dai una bella occhiata in giro, questa è la tua città', Bruce Springsteen 

di Alessia Xeka


Tre graffiti di Banksy
Come si può vivere in un paese di cui fai parte, in cui sei nata, dove hai vissuto per tutta la vita, senza avere la cittadinanza, acquisita solo al compimento dei diciotto anni? Questa è la mia storia, la storia di un’adolescente che ha sperato, ha lottato, ha pagato, sia materialmente che umanamente, contro una società bigotta e razzista.
I miei genitori sono emigranti. Più di vent'anni fa sono fuggiti dall'Albania. Spinti dall'oppressione statalista di quel paese e dal conflitto che in quella regione è scoppiato dopo la caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989. Eventi questi che hanno costretto moltissime famiglie a scappare dalla miseria e dalla guerra. Un futuro migliore con un lavoro stabile che consentisse la creazione di una famiglia e di vivere una vita dignitosa, era questo il desiderio dei miei genitori.
Mia madre mi ha raccontato gli ostacoli che ha dovuto affrontare per raggiungere l'Italia, che allora appariva ai loro occhi come 'la terra promessa'. La precarietà, il disagio, la paura di perdere la vita in mare e di essere rimpatriati. Pensieri tristi che per un momento gli fecero venir meno la speranza in un futuro migliore, quello che essi avevano anelato prima della partenza. Poi l'arrivo sulle coste pugliesi, il viaggio per la Sicilia, l'inserimento nel nuovo tessuto sociale, le difficoltà con la lingua, i primi lavori, la famiglia, una figlia nata nella 'terra promessa', una bambina italiana, ma purtroppo senza cittadinanza.  
Vi assicuro che non si tratta di un semplice foglietto di cartaE' qualcosa di più, specialmente per chi è nato ed è sempre vissuto in Italia. E’ uno 'status' giuridico che rende orgogliosi e fieri di appartenere formalmente ad una comunità. E' una sensazione ed un sentimento impossibile da spiegare a chi è sempre stato 'italiano', specie per coloro che ne minimizzano il significato e pensano che sia scontato avere un senso di appartenenza ad un luogo, ad una terra, ad un Paese. 
L’attesa e la speranza mi hanno portato, durante gli anni dell'adolescenza, ad informarmi su tutto ciò che accadeva in politica, sperando che il disegno di legge sulla cittadinanza, di cui si parlava nei mesi scorsi, il cosiddetto Ius Soli, potesse essere approvato dal Parlamento. Ho sperato nella sua emanazione ed oggi prego Dio che ciò avvenga presto, soprattutto per chi in futuro si troverà nelle mie stesse condizioni, cioè di essere italiana senza patria.
Ora che ho compiuto diciotto anni e che ho potuto ottenere la cittadinanza anche dal punto di vista formale, sono pronta a sfidare il razzismo ed a difendere la gente come me, oggetto di diffidenza, di mancanza di fiducia e di intolleranza da parte di molti miei concittadini. Parlare la lingua italiana, studiarla a scuola e perfino avere una conoscenza degli idiomi siciliani, senza avere la cittadinanza sembra quasi una barzelletta. Ciò che spero è che un giorno in Italia chi nasce nel territorio nazionale possa acquisire la 'civitas' senza troppe pratiche da svolgere e senza denaro da spendere per ottenerla. Credo fortemente nella mia generazione, ma allo stesso tempo voglio dare fiducia agli adulti che ci governano. Credo negli ideali che mi sono stati trasmessi dagli uomini che ho imparato a conoscere durante la mia adolescenza siciliana come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Don Andrea Gallo, Fabrizio de Andrè, Bruce Springsteen, Bob Dylan e Giulio Regeni. 
Desidero l’unità, la fratellanza, il rispetto tra etnie diverse. Questo mio sentimento nasce da un dispiacere che mi porto dietro da quando ero piccolaogni volta che dicevo di non avere origini italiane venivo subito vista con un occhio diverso, mi sentivo sotto pressione ed esaminata. D’altronde, mi dicevo, l’Italia è sempre stata abitata da diverse etnie e gli italiani non possono assolutamente ammettere di essere 'puri' o sbaglio?
Come tutti i miei concittadini anch’io da adesso in poi avrò il diritto al voto, qualcosa che mi rende orgogliosa poiché sono fortemente legata alla storia, alle ideologie e alla politica del mio paese: l'Italia. L’unica cosa che in questi giorni di gioia mi ha fatto sorridere è stata la domanda che mi è stata posta da un amico: “Quindi, ora che sei italiana, anche tu hai una parte del debito pubblico?” "Ebbene sì, sono invidiosa di tutti voi italiani e adesso sono felice di averlo anch'io questo 'fardello' essendo anch’io italiana” risposi, ovviamente, in modo sarcastico.

Fonte DOMINABLOG


mercoledì 23 gennaio 2019


Oxfam: ‘L’insostenibile pesantezza della disuguaglianza’

I ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, a sostenerlo è Oxfam Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Video da oxfamitalia.org

I leader politici e del mondo economico si stanno incontrando a Davos in Svizzera per il meeting annuale del Forum economico mondiale. In occasione di questo evento internazionale l’Oxfam pubblica il rapporto ‘Bene pubblico o ricchezza privata?’. Nel documento si denuncia il persistere del divario economico tra ricchi e poveri e di come esso ‘comprometta’ la lotta alla povertà, ‘danneggi’ le economie dei singoli paesi ed ‘alimenti’ la rabbia sociale in tutto il mondo.
‘Lo scorso anno – si legge nel rapporto – le fortune dei super-ricchi sono aumentate del 12%, al ritmo di 2,5 miliardi di dollari al giorno, mentre 3,8 miliardi di persone, la metà più povera dell’umanità, hanno visto diminuire quel che avevano dell’11%’. Stessa situazione nel nostro Paese. 'A metà 2018 il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Ed il 5% più ricco degli italiani possedeva da solo la stessa quota di ricchezza del 90% più povero’.
Nel mondo ci sono alcuni paesi, come Regno Unito o Brasile, dove il 10% più ricco paga meno tasse del 10% più povero. Questo avviene perché i redditi finanziari vengono depositati nei paesi cosiddetti offshore e le multinazionali fanno largo uso dell’elusione fiscale. Vengono così a mancare miliardi di dollari che potrebbero essere investiti in politiche sociali. Una dinamica che ha portato all’incremento della ‘povertà estrema’.
‘3,4 miliardi di persone vivono con 5,50 dollari al giorno. Nel mondo circa 10 mila persone muoiono ogni 24 ore per mancanza di accesso ai servizi sanitari, mentre 262 milioni di bambini non hanno accesso all’istruzione’. Le donne guadagnano il 23% in meno rispetto agli uomini, che posseggono circa il 50% della ricchezza e controllano l’86% delle aziende.
Il rapporto suggerisce tre piani per ridurre le disuguaglianze. Innanzitutto, adottare misure di protezione sociale per tutti erogando servizi sanitari ed educativi universali e gratuiti. In secondo luogo, riconoscere il ‘lavoro di cura svolto dalle donne, mettendo a disposizione servizi che consentano di ridurre le ore di lavoro non retribuito a loro carico'. Infine, ‘porre fine a sistemi fiscali che avvantaggiano i più ricchi. Contrastare l’elusione e l’evasione fiscale’.



venerdì 18 gennaio 2019


Reddito di cittadinanza o ‘deportazione’ di poveri?

Emigrare o rinunciare al Reddito di cittadinanza? È questo il dilemma di fronta al quale potrebbero trovarsi migliaia di poveri del Sud, così come avvenne nel 2015 ai docenti precari storici della scuola 
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini
(foto da governo.it)
La riforma sulla #buonascuola, resa urgente dalla sentenza della Corte di giustizia europea ed approvata dal Parlamento nel 2015, ha consentito al ministero della Pubblica Istruzione di stabilizzare decine di migliaia di precari storici della scuola. Quel piano straordinario di assunzioni prevedeva la mobilità nazionale, ma non per tutti i neoassunti. Essa dava la precedenza agli idonei (non vincitori) al concorso del 2012 e che, pur non avendo mai insegnato, sono stati inseriti negli organici delle scuole della loro provincia di residenza. In altre parole, i giovani insegnanti sono rimasti 'sotto casa', mentre i precari storici, spesso ultracinquantenni, sono stati ‘deportati’ in tutta Italia con la procedura della chiamata diretta dei Dirigenti scolastici. Questo spiega perché quel governo e quella maggioranza parlamentare abbiano perso il consenso elettorale della maggior parte dei dipendenti della scuola. Nella stessa situazione si potranno trovare i percettori del reddito di cittadinanza. Il decreto approvato dal Cdm prevede infatti che i poveri che avranno diritto all’indennità prevista dalla nuova normativa perderanno l’assegno se rifiuteranno tre proposte di lavoro, la prima entro 100 chilometri, la seconda entro 250 chilometri e la terza su tutto il territorio nazionale. Accettare la ‘deportazione’ o rinunciare al Rdc, sarà questo il dilemma di fronte al quale si potrebbero trovare i poveri, così come successe a migliaia di docenti nel 2015. 
Tabella da governo.it
Nello stesso tempo, con la cosiddetta quota cento oltre 750 mila lavoratori, soprattutto del Nord Italia, andranno in pensione anticipatamente rispetto a quanto previsto dalla legge Fornero. Le imprese dove questi lavoratori sono impiegati avranno difficoltà a sostituirli sia perché nella maggior parte dei casi si tratta di addetti qualificati, sia perché con il calo demografico degli ultimi decenni i giovani disponibili a svolgere quel tipo di attività sono pochi o, comunque, in numero non sufficiente. La conseguenza logica di questa situazione sarà che a ricoprire quei posti di lavoro saranno gli immigrati o i poveri ‘deportati’ dal Sud che porteranno in dote alle imprese la parte del Rdc non ancora percepito (la durata prevista dal Decreto è di 18 mesi). E’ la quadratura del cerchio. Insomma, Luigi Di Maio e Matteo Salvini come Matteo Renzi nel 2015. Vogliono prendere ‘due picconi con una  fava’, vale a dire assistere con un reddito minimo i poveri del Sud, ma nello stesso tempo li si vuole ‘costringere’ ad emigrare al Nord per prendere i posti lasciati vacanti dai neo pensionati o a fare lavori precari e mal retribuiti. Ovviamente non riguarderà tutti i beneficari del Rdc, ma solo coloro che sono disposti a lavorare, gli altri, i 'furbi', ne approfitteranno finchè la legge glielo permetterà. 
Un altro paradosso della nuova normativa è che i 4 mila 'navigator' che verranno assunti entro il primo aprile con contratti precari dovranno adoperarsi per trovare un lavoro stabile a 5 milioni di poveri. Ed è ovvio che nel Meridione questi posti di lavoro non ci sono e, poiché non spunteranno neanche nei prossimi anni, ai poveri del Sud non resterà che emigrare forzatamente o tornare nell'indigenza.
Fonte governo.it

sabato 12 gennaio 2019


Dai ‘terroni’ calabresi una lezione di tolleranza a Matteo Salvini e Luigi Di Maio

51 migranti di etnia curda, tra cui sei donne, tre bambini ed un neonato, sono sbarcati in Calabria, mentre sulla acque del mediterraneo si concludeva l’odissea dei profughi della due Ong Sea Watch e 3 e Sea Eye, ma i calabresi hanno dimostrato uno spirito d’accoglienza sconosciuto a due vice premier

Foto da dire.it
Sono arrivati all’alba sulla costa crotonese, nella frazione di Torre di Melissa. Hanno rischiato di morire e si sono salvati grazie alla prontezza e allo spirito di solidarietà dimostrato da decine di cittadini calabresi. La barca su cui viaggiavano si è incagliata a pochi metri dalla costa e dopo essere stata abbandonata dagli scafisti si è rovesciata da un lato. I cittadini del piccolo paesino (tra loro il sindaco Gino Murgi), svegliati dalle grida, sono corsi in spiaggia a portare soccorso a quei disperati e senza esitare si sono gettarsi in mare per portali in salvo. I migranti ora si trovano nel Centro di accoglienza San’Anna di Isola Capo Rizzuto in attesa che inizi l’iter burocratico della richiesta di asilo. Ed è assai probabile che essi rimarranno nella terra che li ha salvati.
Purtroppo uno dei profughi manca all’appello ed ora risulta disperso. I presunti scafisti sono stati arrestati dai carabinieri di Cirò Marina. Subito dopo l’arrivo dell’imbarcazione due cittadini russi di 43 e 25 anni si sono recati in un vicino albergo per passare la notte, ma i proprietari del locale insospettiti delle condizioni insolite con cui si erano presentati (erano bagnati e pieni di sabbia), li hanno denunciati ai carabinieri che, subito dopo, li hanno arrestati.
E’ il primo sbarco di migranti del 2019. La rotta dai Balcani non si è mai interrotta e, seppure non faccia scalpore, continuano ad arrivare profughi dalla Turchia, dal Medio Oriente o dal Sud est asiatico. In genere sono piccole imbarcazioni a vela che riescono a sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine.
Insomma, mentre il ministro degli Interni con il consenso del leader del M5s chiude i porti e dice no ad ogni richiesta di sbarco e di soccorso, i migranti continuano ad arrivare sulle nostre coste. Ma stavolta i ‘terroni’, come il giornale lombardo Libero ha definito il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente della Camera, Roberto Fico ed il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte (tutti e tre rei per essere meridionali e perché impedirebbero a Matteo Salvini di governare), hanno dato una lezione di tolleranza tipica di chi ha vissuto da sempre sulla propria pelle le stesse disgrazie e che è sconosciuta a due vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

sabato 5 gennaio 2019


I migranti della Sea Watch e ‘Ciàula scopre la Luna’

L’odissea che stanno vivendo i 49 migranti salvati dalla Ong Sea Watch rappresenta il fallimento etico e politico di un Paese e di un Continente che stanno rinnegando i loro valori e la loro civiltà

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da sito Sea Watch
Curvo …. egli veniva su, su, su, dal ventre delle montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. E non vedeva ancora la buca, che lassù, lassù si apriva come un occhio chiaro, d’una deliziosa chiarità d’argento. Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria (luce) cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. Possibile? Restò - appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico (di zolfo) gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Si, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde  a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna …. C’era la Luna!
Ciàula (soprannominato così perché quando parlava gracchiava come una cornacchia), Caruso’ tuttofare nelle zolfatare siciliane, sempre ligio ai comandi del padrone, non aveva paura della profondità della caverna in cui lavorava durante il giorno, ma ‘del bujo vano della notte’. Quel terrore ‘gli proveniva da quella volta che il figlio di zì’ Scarda, già suo padrone, aveva avuto il ventre e il petto squarciato dallo scoppio della mina, e zì’ Scarda stesso era stato preso in un occhio’…. ‘La paura lo aveva assalito, invece, nell’uscir dalla buca nella notte nera, vana’.
L’angoscia che stanno vivendo i migranti salvati dalla Sea Watch è come quella patita da Ciàula, nella celebre novella di Luigi Pirandello. 49 profughi tra uomini, donne e bambini, dopo una pericolosa traversata del Mediterraneo, sono giunti sulle sponde della ‘terra promessa’, ma ancora non sono salvi per volontà di un ministro immemore dei tanti italiani che hanno vissuto la stessa odissea, di un Paese che ha dimenticato di essere un crocevia di culture e tolleranza e di un Continente che sta rinnegando i suoi valori e la sua civiltà.
La vicenda, presto, si concluderà e questi sventurati, che fuggono dalle guerre e dalla miseria, usciranno dal ventre di quella nave e vedranno un po’ di ‘luce’ nel loro futuro, così come Ciàula, Caruso vissuto sottoterra e nella miseria, che, nel vedere per la prima volta la Luna, ‘si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva stanco, nella notte ora piena del suo stupore’.
Fonte ‘Ciàula scopre la Luna’, novella di Luigi Pirandello, pubblicata per la prima volta il 29 dicembre 1912 sul Corriere della Sera

giovedì 6 dicembre 2018


Nel Mezzogiorno una persona su due è a rischio povertà o esclusione sociale

Il 44,4% delle persone residenti nel Sud Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. A sostenerlo è l’indagine condotta dall’Istat sulle ‘condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie’ relative al 2017

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da virgilio.it
Secondo l’indagine condotta dall’Istat nel Mezzogiorno quasi una persona su due è a rischio povertà o esclusine sociale. Più del doppio rispetto alle altre aree geografiche del Paese. Il rischio nel Nord-est è del 16,1%, in diminuzione rispetto al 2016, quando era al 17,1%, nel Nord- ovest è del 20,7% (nel 2016 era al 21,0%), mentre nel Centro è stabile al 25,3%. Tra i nuclei famigliari quelli con un maggior numero di componenti si confermano come i più esposti (42,7%, era 43,7% nel 2016). La media nazionale del 28,9% è, comunque, in miglioramento rispetto al 30,4% del 2016.
Il reddito netto medio per famiglia è di 30.590 euro l’anno, circa 2.550 euro al mese, con un incremento del potere di acquisto rispetto al 2015 del +2,1%. Il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco, a cui va il 39,3% del reddito totale, e quello del 20% più povero, a cui va solo il 6,7% del reddito totale, si è ridotto dal 6,3 a 5,9, ma rimane superiore rispetto ai livelli pre-crisi, nel 2007 era al 5,2. Per metà delle famiglie residenti in Italia il reddito netto non supera 25.091 euro l’anno. Circa 2.090 euro al mese.
Il costo del lavoro dipendente è in media di 32.154 euro annui, con un cuneo fiscale e contributivo del 45,7%, in lieve calo rispetto al 2015 (-0,3%) e al 2014 (-0,5%).
La fonte di reddito più elevata nel 2016 è quella dipendente con 17.370 euro circa, contro una media di 15.460 per il lavoro autonomo e 14.665 euro per i redditi di natura pensionistica. Insomma, non c’è un gran differenza tra chi lavora e chi è in quiescenza. Sarà questo il motivo per cui tutti vogliono andare in pensione?

Fonte istat.it

  sabato 24 novembre 2018


Ponzia Postumina assassinata dopo una notte ‘d’amore e collera’

Maltrattamenti, sopraffazioni, violenze e uccisioni delle donne non sono un’esclusiva della società moderna, ma si sono sempre verificati nel corso della storia, ecco un esempio avvenuto nel 58 d.C., al tempo di Nerone 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Della vita di Ponzia Postumina non si conosce nulla se non la tragica morte avvenuta per mano del suo amante. Lo storico Tacito in un capitolo degli Annales ci racconta la vicenda d’amore tra Ponzia Postumina e Ottavio Sagitta, senatore e tribuno della plebe. Un rapporto inteso ed ‘ossessivo ‘ al limite di una ‘pulsione distruttiva’.
La donna stanca di quell’uomo violento, cercò di chiudere la relazione. Ma Ottavio dopo una ‘notte che passo in litigi, preghiere, rimproveri, scuse e, in parte effusioni, ad un tratto, quasi fuori di sé, infiammato dalla passione, trafisse col ferro la donna che nulla sospettava’. Il tribuno fu arrestato e condannato per il vile assassinio. Ma gli fu risparmiata la vita e finì in esilio nell’isola di Ponza.
Questa tragica vicenda è simile a tante altre ed ancora oggi essa si ripete con crudele continuità. Dall’inizio dell’anno le vittime di femminicidio sono già state novantaquattro, mentre gli atti di violenza denunciate dalle donne sono state quasi cinquantamila.  
Troppo spesso mariti o compagni considerano la loro donna come ‘cosa propria’ ed in alcuni casi essi arrivano al punto di attribuirsi il ‘diritto’ di deciderne la vita o la morte.Questi ‘ominicchi’ confondono l’amore con il possesso e considerano l’affetto ricevuto non come un atto che deve essere riconosciuto e ribadito ogni giorno, ma come un sentimento esclusivo dato per sempre. E’ un atteggiamento infantile, che denota insicurezza ed immaturità e che, a volte, sfocia nella violenza e nel crimine.
E’ un fatto culturale. E non può essere una giustificazione l’indissolubilità del matrimonio sancita dal cristianesimo. L’amore può non essere per sempre. Ed in ogni caso la donna ha, come l’uomo, il diritto di innamorarsi di nuovo o, semplicemente, di chiudere una relazione. E’ nella natura umana dare e ricevere amore e nessuno può decidere quando e dove questo può avvenire.
Ma, purtroppo, fino a quando gli uomini non accetteranno il carattere di reciprocità di questo diritto, i femminicidi continueranno.

mercoledì 21 novembre 2018


La lunga marcia dei migranti honduregni è arrivata davanti al ‘Muro della vergogna’

I profughi honduregni hanno dovuto attraversare il confine meridionale messicano e dopo aver percorso centinaia di chilometri sono giunti a quello con la California, ma, ora, devono affrontare un ostacolo quasi insuperabile: il ‘Muro della vergogna’ 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tijuana, il 'Muro della vergogna' - (foto da wikipedia.org)
Quando hanno iniziato la marcia verso gli Stati Uniti d’America erano poche centinaia di persone, ora, che sono arrivate sul confine americano, sono migliaia. E’ la lunga marcia dei migranti honduregni. Partiti oltre un mese fa dalla città di San Pedro Sula, in Honduras, ora sono arrivati a Tijuana con l’obiettivo di attraversare il confine con gli Usa. Alcune migliaia sono ancora in marcia e presto arriveranno al campo allestito dai volontari per accogliere i profughi centroamericani. In tutto si tratta di oltre cinquemila persone che si aggiungono a quelli che sono già presenti nel campo. Nella maggior parte dei casi sono disperati che fuggono dalla guerra e dalla miseria.
Giunti a Tijuana i rifugiati devono iniziare il processo di richiesta di asilo politico. La pratica potrebbe richiedere diversi mesi di attesa, anche perché le autorità americane ne espletano solo poche decine al giorno.
Il campo si trova a pochi metri dalla barriera di separazione che si snoda lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Alto dai due ai sei metri il ‘Muro della vergogna’, così lo definiscono i messicani, è fatto di lamiera metallica sagomata. La sua edificazione ha avuto inizio nel 1990 durante la presidenza di George H. W. Bush ed è stata continuata nel 1994 da Bill Clinton. Oggi, il nuovo presidente Donald Trump vuole estendere la struttura su tutto il confine meridionale americano, ma vuole farlo a spese del Messico.
Da quando è stata costruita la barriera un numero crescente di persone è entrata illegalmente negli Usa attraverso il deserto di Sonora. I clandestini devono percorrere oltre 80 Km di territorio inospitale e pericoloso, tanto che tra il 1998 ed il 2004 sono morte, secondo i dati ufficiali, 1.954 persone.
Il presidente Donald Trump per fermare la marcia dei migranti, oltre alle guardie di frontiera americana, ha schierato al di là del confine alcuni reparti dell’esercito, come se i nuovi arrivati fossero degli ‘invasori’. Invece, si tratta di persone e di nuclei famigliari che intendono entrare legalmente negli Usa.
I profughi honduregni in queste settimane hanno dovuto sopportare anche le proteste dei sovranisti messicani, preoccupati, questi ultimi, dal fatto che difficilmente i migranti riusciranno ad entrare negli Stati Uniti e che pertanto è assai probabile che molti di essi rimarranno nel territorio messicano.  
‘Si è sempre meridionali di qualcuno’ afferma Luciano De Crescenzo in ‘Così parlò Bellavista’. Americani contro messicani, messicani contro honduregni, europei contro africani, veneti contro campani o siciliani, è una lotta continua, tra chi è benestante e chi è povero, tra chi ha una vita dignitosa e chi vi aspira. E' tornato il nazionalismo e con esso il tempo della'intolleranza e della xenofobia. E, di certo, non si può rimanere indifferenti davanti a tanta ingiustizia.

domenica 23 settembre 2018


Le differenze arricchiscono le menti, i cuori ed anche le tasche, ma è necessaria la conoscenza

‘Gli africani vengono in Italia a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare e a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere’, Roberto Saviano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Siria, migranti in fuga - Foto da today.it
Le norme che  regolano il fenomeno migratorio fanno riferimento soprattutto alla legge Bossi/Fini. Il provvedimento voluto dal governo di Silvio Berlusconi nel 2002, poi modificato nel 2007 e nel 2009 (decreto Sicurezza che ha introdotto il reato di clandestinità), parte dal presupposto che esistono dei confini e che pertanto chi li oltrepassa senza permesso e senza essere un richiedente asilo compie un reato. Secondo una recente sentenza della Cassazione l’illecito di ‘ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato’ non conosce attenuanti che valgano la sua assoluzione, vale a dire che non è possibile invocare la tenuità del fatto per evitare la condanna.
Le limitazioni alla libera circolazione degli individui sono un’invenzione degli Stati moderni, ma non è stato sempre così. Il mondo si è popolato proprio perché non c’erano barriere. L’uomo è per sua natura un nomade. Si sposta cioè là dove ritiene di poter vivere in modo dignitoso ed a volte è una questione di sopravvivenza. Noi italiani, soprattutto noi meridionali, ne siamo un esempio. Il limite agli spostamenti nasce quando si rende necessaria la tutela di un interesse economico particolare. Se non esistessero i poveri, le guerre, le calamità naturali ed il benessere fosse diffuso in tutto il pianeta non ci sarebbero gli immigrati economici ed i profughi. Invece esistono e le risposte al fenomeno possono essere diverse: o li accettiamo o li lasciamo affogare nel Mediterraneo o morire nelle carceri libiche o di fame nei loro paesi d’origine. Tutti hanno il diritto a vivere una vita dignitosa, anche chi ha la sfortuna di nascere in un ambiente povero e violento. 
I fenomeni del razzismo e dell'intolleranza che stanno crescendo nella società italiana e non solo sono il risultato di un limite culturale che ha radici antiche e che si fa fatica ad estirpare. Quando vediamo una faccia nuova in noi scatta un istinto di conservazione, se poi entriamo in contatto con un individuo che ha un colore della pelle diverso dal nostro rischiamo di andare nel panico. Facciamo fatica ad accettare la diversità ed a volte la temiamo. Tendiamo a chiuderci nel nostro guscio. Non ci rendiamo conto che le differenze arricchiscono le menti, i cuori ed anche le tasche, ma è necessaria la conoscenza. Non è un caso che le comunità più prospere ed evolute siano proprio quelle multietniche.
Il benessere e la civiltà di un popolo crescono e si affermano insieme, sono due fenomeni in simbiosi, l’uno non può esistere senza l’altro, ma per tanti italiani non è così.

martedì 18 settembre 2018


Questione meridionale e lavoro precario

I dati sull’andamento del mercato del lavoro nel secondo trimestre 2018 pubblicati dall’Istat confermano, oltre all’incremento del lavoro precario, il crescente divario economico e sociale tra il Nord ed il Sud del Paese 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da lavocedelquartiere.it
Il lavoro è sempre più precario e flessibile, a sostenerlo è l’Istat. ‘La consistente crescita dell'ultimo periodo – si legge nel comunicato dell’Istituto di statistica - ha comportato oltre 700 mila occupati  a termine in più rispetto al pre-crisi (+30,9%). A questa crescita fa da contraltare la perdita di circa 600 mila indipendenti (-10,2%) nonostante l'aumento nell'ultimo trimestre’. Cresce il lavoro part time. ‘In dieci anni gli occupati part time sono aumentati di quasi un milione, a fronte di una diminuzione di poco inferiore di quelli a tempo pieno.
L’occupazione torna ai livelli del 2008, ma solo al Nord. ‘Nel secondo trimestre 2018 si contano 205 mila occupati in più rispetto al secondo trimestre 2008. Si è raggiunto e superato il numero degli occupati del secondo trimestre 2008 e il tasso di occupazione 15-64 anni non destagionalizzato è tornato allo stesso livello (59,1% in entrambi i periodi). Nel Centro-nord la ripresa è iniziata prima e ha portato al recupero delle perdite occupazionali dovute alla crisi già nel secondo trimestre 2016 mentre nel Mezzogiorno, dove il calo degli occupati ha riguardato complessivamente 700 mila unità fino al 2014, il saldo rispetto al pre-crisi è ancora ampiamente negativo (-258 mila, -3,9%; il relativo tasso -1,6 punti)’
Quello descritto dall’Istat è un Paese che si muove a due velocità. Da un lato c’è il Nord che torna a crescere e dall’altro il Sud che invece arranca e si avvia verso la desertificazione economica e sociale. Lo evidenziano anche altri indicatori come le differenze reddituali (nel Settentrione il reddito medio pro-capite è stato nel 2016 di 32.889 euro, al Sud di 17.984 euro) e quelle sul tasso di occupazione (il divario nel 2007 era del 20,1%, nel 2016 è salito a 22,5%). Ed ancora: i flussi migratori (negli ultimi 16 anni 1 milione e 883 mila residenti hanno lasciato il Mezzogiorno) e la perdita di residenti (tra il 2012 ed il 2016 il saldo netto nelle regioni meridionali è stato negativo per 783 mila unità, di cui 220 mila laureati). 
Il divario tra il Nord ed il Sud continua a crescere e la Questione meridionale non solo è rimasta irrisolta, ma è il problema fondamentale del nostro Paese. La politica degli incentivi all’occupazione, adottata negli ultimi tre decenni, non ha ridotto le differenze economiche e sociali. Nelle regioni del Sud è indispensabile ed urgente una seria politica d’investimenti pubblici. Una specie di Piano Marshall 2.0 che preveda lo spostamento di risorse pubbliche dal Nord al Sud del Paese. Ma, anche se la Questione è nazionale, è forte il dubbio che ad occuparsi dello sviluppo del Meridione possa essere un leghista doc come Matteo Salvini.

Fonte: istat.it


 

venerdì 14 settembre 2018


Don Pino si voltò, sorrise ai suoi assassini e disse: ‘Me l’aspettavo’

‘Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto’, Papa Francesco 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni) 

Don Pino Puglisi - (foto da wikipedia.org)
Il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56° compleanno, don Pino Puglisi intorno alle 22,45 era appena sceso dalla sua Fiat Uno bianca e si stava avvicinando al portone di casa quando qualcuno lo chiamò, lui si voltò, sorrise ai suoi assassini e disse: ‘Me l’aspettavo, subito dopo Salvatore Grigoli, killer della mafia, gli sparò un colpo alla nuca. 
Un uomo di fede se ne andato così, senza nessun timore verso chi, accecato dall’odio, ha sparato senza esitazione. Don Pino era un uomo mite ed è morto per la sua testardaggine nel credere che un’altra Sicilia è possibile e che l’amore e la giustizia prima o poi trionferanno. Un ‘Santo’ che forse i siciliani non meritano di avere.
Mandanti dell’omicidio furono i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, condannati all’ergastolo insieme agli altri componenti del commando, cioè Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Il 26 agosto del 2015 Don Pino è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile alla memoria con la seguente motivazione: Per l'impegno di educatore delle coscienze, in particolare delle giovani generazioni, nell'affermare la profonda coerenza tra i valori evangelici e quelli civili di legalità e giustizia, in un percorso di testimonianza per la dignità e la promozione dell'uomo. Sacrificava la propria vita senza piegarsi alle pressioni della criminalità organizzata. Mirabile esempio di straordinaria dedizione al servizio della Chiesa e della società civile, spinta fino all'estremo sacrificio. 15 settembre 1993 – Palermo’.




lunedì 20 agosto 2018


Noureddine Adnane ed il 'Manifesto antirazzista'

‘Fino a quando il colore della pelle sarà più importante del colore degli occhi sarà sempre guerra’, Bob Dylan

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ondarossa.info
Noureddine Adnane era un giovane migrante giunto nel nostro Paese nel 2002. Ormai perfettamente integrato, faceva parte della comunità marocchina del capoluogo siciliano. Venditore ambulante con licenza e permesso di soggiorno in regola, si è suicidato dandosi fuoco il 10 febbraio del 2011 dopo aver subito l’ennesima multa da parte dei vigili urbani di Palermo. Gli agenti della polizia municipale gli avevano contestato il fatto che era fermo nella stessa strada da troppo tempo. Ha lasciato la compagna di ventuno anni ed una figlia di due anni.
Negli ultimi mesi gli atti di razzismo che si sono verificati nell’isola sono stati oltre 45. A certificarlo è l’Osservatorio contro le discriminazioni razziali Noureddine Adnane che, per sensibilizzare l’opinione pubblica, ha lanciato un 'Manifesto antirazzista'. All’iniziativa hanno già aderito numerose associazioni. Ecco i sei punti della proposta:
1. La vigilanza. Chiediamo che la politica, le istituzioni, le forze dell’ordine riconoscano che in Italia c’è un incalzante e diffuso fenomeno di razzismo e che mettano in atto azioni conseguenti che vigilino sui discorsi e atti razzisti e non li consentano per la sicurezza di tutte e tutti coloro che ne sono vittime e per la coesione sociale della nostra comunità.
2. La libertà di movimento. Riconosciamo la libertà di chiunque di muoversi, spostarsi, cercare la felicità, salvare la propria vita o cercare di averne una migliore. Non possiamo non interrogarci sulle cause che portano uomini, donne, anziani e giovani a lasciare le proprie case, i propri affetti e i propri Paesi. Non possiamo non interrogarci su leggi che non esistono o non permettono una mobilità regolare e minori rischi per chi cerca di spostarsi affrontando, nella maggior parte dei casi, viaggi a rischio della propria vita.
3. La cultura e l’educazione. Mobilitiamoci attraverso l’educazione, il diritto e la cultura: tutte e tutti dobbiamo sentire il richiamo di questa responsabilità perché quella verso cui andiamo è una società afflitta da una grave crisi di relazioni e rapporti, che non sarà più capace di interagire al suo interno, figuriamoci mostrare solidarietà all’altro, chiunque esso sia.
4. La politica sull’immigrazione. Denunciamo con decisione le modalità di fare politica che questo governo, irresponsabilmente, sta adottando come tutte le politiche precedentemente messe in atto relative all’immigrazione: direttive, circolari, dispositivi fuori da qualsiasi disegno e immagine di società e governo democratico e civile.
5. Le bufale sui numeri. Smantelliamo questa falsa narrazione su un’invasione che non esiste, sfatiamo il mito — falso — che certe politiche di costruzione di muri portino a una diminuzione degli arrivi perché, guardiamo in faccia la realtà, servono solo a “clandestinizzare”, a rendere più pericolosi i percorsi migratori, servono solo a rendere ancora più forte quel fantasma del nemico che non è nel migrante ma è in un sistema sociale ed economico iniquo. I dati ce lo dicono forte e chiaro: non esiste un’invasione, esiste una cattiva gestione dei flussi migratori, una cattiva gestione della distribuzione di coloro che arrivano, e aumentare il livello di scontro politico in Europa non sta facendo altro che porre l’Italia in una situazione di stallo e di “imbuto”.
6. I diritti di cittadinanza. Lo diciamo dalla Sicilia, dai nostri quartieri che contengono insieme il centro e la periferia: non vogliamo una guerra tra poveri, riprendiamoci il discorso sui diritti e doveri di cittadinanza di tutte e tutti, perché è l’ambiguità sui diritti di cittadinanza che sta spianando la strada alle peggiori pulsioni xenofobe e razziste. La nostra multietnicità è un fatto e soprattutto è una ricchezza per tutta la nostra società e da tutti i punti di vista.
Non saremo complici della stigmatizzazione delle diversità, identificate strumentalmente come fattori di alterazione dell’ordine collettivo.
Non saremo complici di una formulazione razziale delle questioni geopolitiche e di un’economia di rapina.
Non saremo complici del disfacimento della società civile italiana, per questo diciamo e invitiamo tutte a tutti a dire: no al razzismo.

mercoledì 1 agosto 2018


Anche gli immigrati lasciano il Sud

La crescita dell’economia meridionale nel triennio 2015-2017 ha consentito di recuperato solo parzialmente quanto disperso dalla crisi, a sostenerlo sono le Anticipazioni del Rapporto Svimez 2018 sull’economia e la società del Mezzogiorno
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da svimez.it
Nel 2017 nel Mezzogiorno il Pil è aumentato dell’1,4%, lo 0,6% in più rispetto al 2016. La ripresa è stata trainata soprattutto dagli investimenti privati (+3,9%). Tuttavia, rispetto ai livelli pre-crisi il dato rimane inferiori del -31,6% (al Centro-Nord del -20%). La spesa pubblica invece, nel periodo 2007-2017, è diminuita del -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.
Tuttavia, sostiene Svimez, tra Nord e Sud del Paese c’è una stretta interdipendenza. Lo dimostrerebbe il fatto che le due aree geografiche hanno fatto registrare negli ultimi dieci anni variazioni simili nell’andamento del Pil pro capite. Inoltre, ‘20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro - Nord sotto forma di domanda di beni e servizi’.
La crescita economica registrata negli ultimi anni non è stata sufficiente a ridurre le disuguaglianze sociali. Nel 2017 l’occupazione nel Mezzogiorno è cresciuta di 71 mila unità (+1,2%), al Nord di 194 mila unità (+1.2%), ma al Sud è ancora insufficiente a colmare la perdita di posti di lavoro avvenuta con la crisi. Rispetto al 2008 l’occupazione è inferiore di 310 mila unità, mentre nello stesso periodo nelle regioni centro - settentrionali è superiore di 242 mila unità. Nel Sud i nuovi posti di lavoro riguardano soprattutto i contratti a termine (+61mila), mentre rimangono fermi quelli a tempo indeterminato (+0,2%).
‘Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 ed il 2018, è passato da 362 mila unità a 600 mila (nel Centro - Nord sono 470 mila)’. Essi si concentrano soprattutto nelle zone periferiche, dove si registra una ‘crescente emarginazione e degrado sociale’. In particolare è in aumento il fenomeno dei working poors, cioè del lavoro a bassa retribuzione determinato dalla dequalificazione delle occupazioni e dal part time involontario.
Nel 2017 la popolazione italiana (60 milioni e 660 mila unità) è diminuita di 106 mila unità. La riduzione (-203 mila unità) non è compensata dall’aumento di stranieri, + 97mila unità. Nel 2017 nel Centro - Nord risiedevano 4.272 mila stranieri, al Sud 872 mila. Anche gli immigrati appena possono abbandonano il Meridione. Sbarcano in prevalenza sulle coste delle regioni del Sud, ma, appena hanno l’opportunità, si spostano nelle regioni settentrionali o vanno all’estero.
Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti. Si tratta prevalentemente di giovani con età compresa tra 15 e 34 anni, quasi un quinto dei quali sono laureati, il 16% si è trasferito all’estero. Sono tornati al Sud in 800 mila. Tra il 2012 ed il 2016 il saldo netto è stato negativo di 783 mila unità, di cui 220 mila laureati.
Ai cittadini del Meridione, nonostante una pressione fiscale simile o superiore rispetto al resto del Paese, sono negati alcuni diritti fondamentali come la sicurezza, servizi sanitari adeguati e vivibilità ambientale. I dati sulla mobilità ospedaliera sono allarmanti ed evidenziano le carenze del sistema sanitario nel Mezzogiorno. I malati della Calabria, della Campania e della Sicilia spesso sono costretti ad ‘emigrare’ in altre regioni, in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna. 
Il Rapporto Svimez è un’ulteriore conferma del divario economico e sociale tra Centro - Nord e Sud Italia, ma per il 'governo del cambiamento' il problema sono i migranti che vengono dall’Africa e non i meridionali che sono costretti ad emigrare anche per farsi curare.  
Fonte svimez.it

 

sabato 28 luglio 2018


Tiro al ‘piccione’ e ‘Salvini, Salvini’

’L’Italia non può assomigliare al far west dove un tale compra un fucile e spara dal balcone colpendo una bambina di un anno rovinandole la vita, la salute ed il futuro’, Sergio Mattarella

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Sergio Mattarella e la bimba rom ferita a Roma
Negli ultimi sei mesi si sono verificati una serie di agguati con una chiara motivazione razzista. Ecco i casi più eclatanti.
Il 3 febbraio scorso Luca Traini, 28 anni di Tolentino, a bordo della sua Alfa 147 nera spara all’impazzata ferendo sei persone. Catturato mentre grida ‘Viva l’Italia’ e facendo il saluto romano si è giustificato sostenendo di aver agito per ‘vendicare Pamela Mastropietro’, la giovane trovata morta in una valigia e del cui omicidio è accusato il nigeriano Innocent Oseghale.
Il 4 marzo a Firenze Roberto Pirrone, pensionato 65enne, ha ucciso a colpi di pistola il senegalese Idy Diene. L’uomo ha dichiarato che la sua intenzione era di suicidarsi, ma non avendo trovato il coraggio ha sparato al primo passante.
Il 2 giugno il sindacalista maliano Soumayla Sacko è stato ucciso a colpi di fucile. Aveva 29 anni ed una figlia di 5. E’ stato assassinato mentre aiutava alcuni connazionali a prendere delle lamiere da una fabbrica in disuso. Lo scopo era quello di costruire un riparo nella baraccopoli di San Ferdinando, una specie di tendopoli dei migranti che lavorano per pochi euro al giorno nelle campagne calabresi.
L’11 giugno due ragazzi del Mali, Daby e Sekou, ospiti di una struttura del comune di Caserta, sono stati colpiti da una raffica di colpi sparati da una pistola ad aria compressa. Daby è stato ferito all’addome. Gli aggressori inneggiavano a Matteo Salvini.
Il 20 giugno a Napoli lo chef Konate Bouyagui, maliano di 22 anni, da quattro anni in Italia con un regolare permesso, mentre tornava a casa è stato colpito alla pancia da un piombino sparato da due ragazzi a bordo di un’auto. Credevo di morire. C'è un clima d’intolleranza contro le persone di colore per colpa della campagna elettorale basata sulla propaganda contro gli immigrati, ha dichiarato ai poliziotti.
Il 2 luglio a Forlì una donna nigeriana è stata ferita ad un piede. ‘Ho sentito un dolore alla gamba, non so cosa sia successo’. La donna terrorizzata, solo alcuni giorni più tardi ha deciso di sporgere denuncia ai carabinieri.
Il 5 luglio sempre a Forlì un ivoriano di 33 anni, mentre si stava spostando in bicicletta è stato affiancato da un auto, dall’interno qualcuno ha sparato con una pistola Soft Air (modelli ad aria compressa) e gli ha bucato la pancia.
L’11 luglio a Latina una serie di colpi sono stati esplosi da un’auto. Le vittime sono due nigeriani di 26 e 19 anni, stavano aspettando l’autobus.
Il 17 luglio a Roma un ex dipendente del Senato di 59 anni per provare l'arma’ ha sparato dal terrazzo del suo appartamento che si trova al settimo piano ed ha ferito una bambina di etnia rom di 13 mesi. La piccola è in condizioni gravissime, rischia di rimanere paralizzata. L’uomo si è giustificato dicendo di non essersi accorto di aver colpito qualcuno.
Il 26 luglio a Cassola, in provincia di Vicenza, un operaio originario dell’isola di Capo Verde, mentre lavorava su una pedana mobile a 7 metri di altezza, è stato colpito alla schiena da un uomo che ha sparato dal suo terrazzo. L’uomo si è giustificato dicendo ai carabinieri che intendeva ‘sparare ad un piccione’.
Il 27 luglio a San Cipriano d’Aversa, in provincia di Caserta, un immigrato della Guinea è stato colpito in pieno volto da una pistola ad aria compressa. Ai carabinieri ha raccontato di essere stato affiancato da un ciclomotore e di aver udito lo sparo.
Il 27 luglio a Partinico, in provincia di Palermo, Djeng Khalifa, un giovane immigrato perfettamente integrato, è andato a fare una passeggiata nel centro del paese. Mentre stava seduto nelle vicinanze di un bar insieme ad un amico è stato apostrofato in malo modo e malmenato. ‘Vattene via sporco negro’. ‘Non ho reagito perché non alzo le mani – ha detto il senegalese – mi potevo difendere, ma gli educatori della comunità mi hanno insegnato che non si alzano le mani’.

martedì 3 luglio 2018


Migranti, è una strage senza fine

Con la politica dei porti chiusi attuata dal governo 'pentaleghista' sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando i barconi pieni zeppi di migranti naufragavano davanti alle coste di Lampedusa facendo stragi che, con un po’ di buona volontà, si sarebbero potute evitare

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da libera.it
Dall’inizio del 2018 i morti in mare sono oltre mille e circa diecimila sono i migranti salvati dalla Guardia costiera libica. Negli ultimi quattro giorni si sono verificati tre naufragi. Il 29 giugno centotre migranti sono annegati perché la barca su cui erano stipati si è rovesciata. Tra i morti, i corpi di tre bambini di pochi mesi. Domenica davanti alle coste di Zuara in Libia, a seguito di un naufragio, sessantatre persone risultano disperse. Mentre quarantuno sono state salvate dalla Guardia costiera libica. Ieri 276 rifugiati sono stati fatti sbarcare a Tripoli, tra loro sedici sopravvissuti di un’imbarcazione su cui erano stipati 130 migranti, gli altri 114 sono considerati dispersi in mare.
E’ una strage senza fine. Persone che fuggono da guerre, carestie, persecuzioni o semplicemente perché vogliono vivere in modo dignitoso, ma per molti di loro il viaggio della speranza si trasforma in una tragedia. Lasciati esamini o senza vita lungo le strade roventi del deserto del Sahara, oppure muoiono per fame o per le torture subite nelle carceri libiche e, se riesco a salire su un gommone, rischiano di annegare nelle acque del Mediterraneo.
A nulla valgono gli appelli umanitari del Papa, delle organizzazioni internazionali e di quanti denunciano il cinismo dei governi europei. Tra loro Il Presidente dell’associazione Libera, Don Ciotti, che, per il 7 di luglio, ha lanciato l’iniziativa una #magliettarossa. L’intento è di sensibilizzare le autorità ad adoperarsi per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà’.
‘Rosso – scrive su Libera Don Ciotti - è il colore che ci invita a sostare. Ma c’è un altro rosso, oggi, che ancor più perentoriamente ci chiede di fermarci, di riflettere, e poi d’impegnarci e darci da fare. È quello dei vestiti e delle magliette dei bambini che muoiono in mare e che a volte il mare riversa sulle spiagge del Mediterraneo. Di rosso era vestito il piccolo Alan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori’.
Ed ancora: ‘L’Europa moderna è libertà, uguaglianza, fraternità. Fermiamoci allora un giorno, sabato 7 luglio, e indossiamo tutti una maglietta, un indumento rosso, come quei bambini. Perché mettersi nei panni degli altri – cominciando da quelli dei bambini, che sono patrimonio dell’umanità – è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali come cittadini’.
Fonti: libera.it e twitter.it

 

mercoledì 27 giugno 2018


‘Un’Italia di sopra, una di mezzo ed un’altra di sotto’

‘Un’Italia di sopra, una di mezzo ed un’altra di sotto’, con queste semplici parole uno degli oltre 14 milioni di poveri residenti sul territorio italiano ha definito la condizione di disagio sociale in cui vive 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

 GRAFICO 1. INCIDENZA POVERTÀ 
ASSOLUTA (FAMIGLIE) PER RIPARTIZIONE 
GEOGRAFICA. Anni 2014-2017, valori percentuali
(Foto da istat.it)
L’Istat ha pubblicato il rapporto sulla povertà in Italia relativo al 2017. I dati evidenziano una crescita di due punti percentuali nel Mezzogiorno e l’incremento del divario tra Centro - Nord e Sud. Secondo le stime fatte dell’Istituto di statistica vivono in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti nel territorio italiano, in tutto sono 5 milioni e 58 mila individui. La crescita riguarda sia il numero di famiglie, passate dal 6,3% del 2016 al 6,9% del 2017, sia gli individui, aumentati dal 7,9% all’8,4%. Più di un minore su dieci, cioè 1 milione 208 mila soggetti (12,1%, nel 2016 era del 12,5%), vive in povertà.
L’aumento maggiore si registra nelle regioni del Sud, dove la stima è passata dall’8,5% al 10,3% per le famiglie e dal 9,8% all’11,4% per gli individui. Percentuali doppie rispetto al resto del Paese. Nel Nord l’incidenza è salita rispettivamente al 5,0% (famiglie) e al 5,4% (individui), nel Centro al 4,2% ed al 5,1%. Inoltre, essa diminuisce al crescere dell’età ed aumenta per le famiglie più numerose, per i non occupati e per i meno istruiti (licenza media o elementare).
Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Essa riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti, (12,3% contro il 10,6% del 2016) e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro il 14% dell’anno precedente) ed è diffusa soprattutto tra le famiglie numerose (30,2%) ed in quelle con persone in cerca di occupazione (37%). Uno straniero su tre vive in povertà. A livello territoriale essi sono residenti per il 29,3% nel Centro e per il 59,6% nel Mezzogiorno.
14 milioni e 426 mila individui vivono in condizioni di povertà assoluta o relativa, sono residente soprattutto nel Mezzogiorno ed un terzo di essi sono stranieri. ‘Un’Italia di sopra, una di mezzo e un’altra di sotto’. E’ una vera e propria emergenza nazionale, ma per chi ci ha governato e per chi ci governa le priorità sono altre.

Fonte istat.it

 

lunedì 25 giugno 2018


I ricchi sono sempre più ricchi

'Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l'avarizia', Don Milani da Lettera ad una professoressa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da unhcr.org
Gli Hnwi sono le persone che, escludendo la residenza principale, hanno investito almeno un milione di euro in asset, beni da collezione, di consumo e durevoli. Nell’ultimo anno sono aumentati di 1,6 milioni di unità e la loro ricchezza è cresciuta del 10,6%, cioè ha superato i 70.000 miliardi di dollari. A sostenerlo è il World Wealth Report 2018 pubblicato da Capgemini. La ricchezza dei super paperoni cresce per il sesto anno consecutivo. Merito, sostiene il rapporto, anche delle cosiddette criptovalute.
In Italia il numero è aumentato di circa il 9%, passando da 251.500 a 274.000 individui. Nella classifica mondiale prima del nostro Paese ci sono gli Usa, il Giappone, la Germania, la Cina, la Francia, il Regno Unito, la Svizzera, il Canada e l’Australia.
I dati Capgemini confermano la crescita delle disuguaglianze e delle differenze sociali tra aree geografiche e tra le classi sociali. I ricchi sono sempre più ricchi, mentre una parte sempre più numerosa della popolazione mondiale s’impoverisce.
Nel 2017, 68,5 milioni di persone sono fuggite da guerre, violenze e persecuzioni (rapporto annuale Global Trends, pubblicato da l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Le persone costrette alla fuga ‘sono pari al numeri di abitanti della Thailandia’, cioè, nel mondo, una persona ogni 110. L’85% dei rifugiati risiede nei paesi in via di sviluppo e ‘quattro su cinque rimangono in paesi limitrofi ai loro’. Gli esodi di massa verso altri paesi sono piuttosto limitati (Turchia e Libano), due terzi sono sfollati all’interno del proprio paese.
Un mondo ingiusto, diviso in due, ma per i nostri politici e per la maggioranza degli elettori italiani il problema sono i migranti la cui unica colpa è quella di fuggire da guerre e carestie.
Fonti: capgemini.com e unhcr.it

 

sabato 26 maggio 2018


Save the Children: ‘In Italia più di 1 bambino su 10 vive in povertà’

Un milione e trecentomila bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta e non riescono ad emanciparsi dalle condizioni di disagio sociale delle loro famiglie, a sostenerlo è Save the Children

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da savethecildren.it
‘Quasi 1 milione e trecentomila bambini e ragazzi, cioè il 12,5% del totale, più di uno su dieci, vivono in povertà assoluta, oltre la metà non legge un libro, quasi uno su tre non usa internet e più del 40% non fa sport’. A sostenerlo è il rapporto di Save the Children ‘Nuotare contro corrente. Povertà educativa e resilienza in Italia’, diffuso in occasione del lancio della campagna ‘Illuminiamo il futuro’. ‘Un Paese – sottolinea il rapporto – dove i minori non riescono a emanciparsi dalle condizioni di disagio delle loro famiglie e non hanno opportunità educative e spazi per svolgere attività sportive, artistiche e culturali, sebbene siano moltissimi i luoghi abbandonati e inutilizzati che potrebbero invece essere restituiti ai bambini per favorire l’attivazione di percorsi di resilienza, grazie ai quali potrebbero di fatto raddoppiare la possibilità di migliorare le proprie competenze’.
I fattori che consentono ai ragazzi ad emanciparsi sono, secondo Save the Children, ‘l’aver frequentato un asilo nido, una scuola ricca di attività extracurriculari, dotata di infrastrutture adeguate e caratterizzata da relazioni positive tra insegnanti e studenti’. Probabilità che si riducono tra ‘il 30% ed il 70% se essi vivono in contesti segnati da alti tassi di criminalità minorile e dispersione scolastica’. Le regioni che occupano i primi posti nella classifica della povertà educativa sono la Campania, la Sicilia, la Puglia e il Molise. Invece quelle che offrono maggiori opportunità sono il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, il Piemonte e l'Emilia Romagna.
Inoltre, nel rapporto emerge che ‘i quindicenni che vivono in famiglie disagiate hanno quasi 5 volte in più la probabilità di non superare il livello minimo di competenze rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie benestanti’.
'Il contesto sociale - conclude l'onlus - fa la differenza ed incide in modo dirimente nella riduzione delle disuguaglianze sociali di origine, anche se c'è una quota di resilienti, ragazzi e ragazze, che, pur provenendo da famiglie disagiate, raggiungono ottimi livelli di apprendimento'. 
Fonte: savethecildren.it

 

giovedì 5 aprile 2018

La strage infinita delle morti sul lavoro


Caduti da un’impalcatura, schiacciati da un muletto o da un trattore, carbonizzati nel tentativo di spegnere un incendio o avvelenati all’interno di una cisterna, i morti sul lavoro sono centinaia ogni anno, in media sono quasi tre al giorno. Morire ‘per un pezzo di pane’ è intollerabile 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

'Carusi' (bambini) all'imbocco di una zolfatara, Sicilia 1899
(foto da it.wikipedia.org)
Dal 2008 le denunce d’infortuni sul lavoro con esito mortale sono progressivamente diminuite.Dieci anni fa i decessi accertati dall’Inail sono stati 1.624, nel 2017 sono calati a 1.029. Dall’inizio del 2018 invece sono cresciuti del 12%, cioè sono saliti a 154 rispetto allo stesso periodo del 2017 quando i morti sul lavoro sono stati 133. Di oggi l’ultimo episodio. A Crotone due operai sono morti ed un terzo è in gravi condizioni dopo essere stati travolti dal crollo di un muro di contenimento che si accingevano a mettere in sicurezza.
Le leggi esistono e le prescrizioni previste sono stringenti, ma tutto questo non basta. Gli incidenti sul lavoro sembrano un fatto ineludibile, soprattutto se si tratta di attività precarie ed occasionali. Ed a pagare il prezzo più alto sono i lavoratori impiegati nelle mansioni più rischiose, ruoli occupati quasi sempre dai lavoratori appartenenti alle classi sociali medio – basse.
Tra i decessi di cui spesso non si sa nulla ci sono anche quelli di chi svolge un lavoro irregolare o in nero. Queste morti bianche, che non rientrano nelle statistiche, sono simili a quelle dei zolfatari rievocati nei versi di ‘Vitti 'na Crozza’, popolare canzone siciliana che esprime il lamento dei minatori deceduti nelle viscere della terra e non ritenuti degni dalla Chiese di ricevere una sepoltura cristiana (‘senza un tocco di campani’) solo perché i loro corpi non erano stati riesumati. Prassi, questa, praticata in Sicilia fino alla metà del secolo scorso.
Oggi viviamo in una società tecnologica, eppure si continua a morire per ‘un pezzo di pane’. Negli ultimi dieci anni i decessi sono stati oltre 14.000. Tutto questo è eticamente insopportabile. Non possiamo continuare ad assistere passivamente a queste tragedie. Un cambiamento radicale nella cultura del lavoro è indispensabile. Continuiamo a rincorrere il profitto dimenticando che il bene più prezioso che abbiamo è la vita. ‘Perché - come ha detto l’ex presidente dell’Uruguay, Josè Pepe Mujca - noi non siamo nati solo per svilupparci. Siamo nati per essere felici’.

Fonti: Inail.it e Osservatorio indipendente morti sul lavoro di Bologna


giovedì 29 marzo 2018

Il Rei è elemosina di Stato


Il 20% degli indigenti usufruisce di un sostegno reddituale medio di 297 euro al mese. ‘Sono strumenti da difendere’, sostiene Paolo Gentiloni, ma questa non è lotta alla povertà è elemosina di Stato

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da numeripari.org
Il Reddito di inclusione è una misura di contrasto alla povertà condizionata alla valutazione della condizione economica del nucleo familiare. Dall’inizio di quest’anno esso ha sostituito il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva). Il Rei fornisce un sostegno economico e la predisposizione di un progetto personalizzato per l’inclusione sociale e lavorativa elaborato dai servizi sociali del Comune. I Requisiti del Reddito di inclusione, oltre a quelli di cittadinanza, residenze e compatibilità (cioè nessun membro familiare deve essere percettore d’indennità di disoccupazione), sono: un valore Isee non superiore a 6mila euro; un valore Isre (l’indicatore reddituale dell’Isee, cioè l’Isr diviso la scala equivalente, al netto delle maggiorazioni) non superiore a 3mila euro; un valore del patrimonio immobiliare, esclusa la casa di abitazione, non superiore a 20mila euro; un valore del patrimonio mobiliare non superiore a 10mila euro (ridotto a 8mila euro per la coppia e a 6mila euro per la persona sola). Inoltre il nucleo familiare deve trovarsi in una delle seguenti condizioni: presenza di un minore; presenza di una persona con disabilità; presenza di una donna in stato di gravidanza; presenza di una persona pari o superiore a 55 anni che si trovi in stato di disoccupazione. Dal primo gennaio 2018 la misura assume carattere di ‘universalità’, cioè è venuto meno il requisito familiare.
Foto da informagiovaniagropoli.it
L’Inps e il Ministero del Lavoro hanno presentato i dati dell’Osservatorio statistico sul reddito di inclusione. Le persone che hanno beneficiato della misura sono quasi 900 mila. Di queste sette su dieci risiedono nel Mezzogiorno. Nel primo trimestre del 2018 i soggetti interessati sono stati nel Sud 572.293 (72,72%), nel Centro 88.895 (11,24%), nel Nord 132.373 (16,05%). In particolare in Campania le persone che hanno usufruito dell’indennità sono state 223.369 (28,78%), in Sicilia sono state 192.602 (24,22%). 'Sono sostegni a persone in carne e ossa, e sono strumenti da difendere’ha commentato il presidente del Consiglio dimissionario Paolo Gentiloni. Mentre il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha sottolineato che è stata‘raggiunta la metà della platea potenziale’. Ed ancora: ‘Chi ha a cuore questo problema si impegni a trovare nuove risorse’.
In Italia ci sono circa 4,5 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, altri 3 milioni che sopravvivono con lavori precari e malpagati, e l’unica cosa che lo Stato italiano è in grado di proporre al 20% degli indigenti è un assegno medio di circa 245 euro con il Sia ed ora di 297 euro con il Rei. E agli altri 3 milioni e 600 mila poveri? Nulla. Non è con le briciole raggranellate nel bilancio statale che si affronta il problema della lotta alla povertà, occorre ben altro. Milioni di italiani, e non solo, aspettano un lavoro ed un reddito adeguato per poter vivere una vita dignitosa, il resto è solo elemosina di Stato.

Fonti: Inps e Ministero del Lavoro



sabato 17 marzo 2018

Il 30% più ricco detiene circa il 75% del patrimonio netto


L’indagine pubblicata da Banca d’Italia sui bilanci 2016 delle famiglie italiane conferma la crescita delle disuguaglianze e del divario economico e sociale tra le diverse regioni del Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da bancaditalia.it
‘Il reddito equivalente medio- a prezzi costanti e corretto per confrontare tra loro nuclei familiari di diversa composizione - è cresciuto del 3,5%; si è interrotta la caduta, pressoché continua, avviatasi nel 2006 ma il reddito equivalente è ancora inferiore di 11 punti percentuali a quello registrato in quell'anno’. Questo è quanto si legge nel rapporto pubblicato dalla Banca d’Italia. Secondo l'indagine, l’indice Gini, che misura la disuguaglianza, è salito al 33,5% dal 33% del 2014 e 32% del 2006. La quota di persone che hanno un reddito equivalente inferiore del 60% rispetto a quello medio, cioè circa 830 euro, è salita al 23%, nel 2006 era del 19,6%. La novità è che la crescita percentuale più alta è stata registrata nel Nord del Paese. Dall’8,35% del 2006 essa è passata al 15% del 2016. Su questo incremento incidono per il 55% (nel 2006 era del 33,9%) i lavoratori di origine straniera. Nelle regioni del Centro la percentuale è salita al 12,3%, era al 9,7% nel 2006. Il maggior numero di persone che sono a rischio povertà vive soprattutto nel Mezzogiorno,qui la percentuale del 39,4% registrata nel 2016 è simile a quella del 2006, quando era del 39,5%. Le disuguaglianze sono evidenziate anche dal confronto della ricchezza posseduta tra le diverse categorie sociali.Secondo l’indagine il 30% più povero delle famiglie detiene in media 6.500 euro, cioè l’1% della ricchezza totale. Mentre il 30% più ricco detiene circa il 75% del patrimonio netto rilevato, in media essa è di 510.000 euro. Il 5% ha mediamente un patrimonio di 1,3 milioni di euro. In questi giorni opinionisti ed esperti delle vicende politiche italiane si stanno affannando a dare una spiegazione plausibile al risultato elettorale del 4 marzo scorso, ma basterebbe leggere questo rapporto per comprenderne il significato. Un Paese diviso in due, sia dal punto di vista geografico che da quello sociale. Ed è per questo che molti italiani, stanchi delle tante e ripetute promesse non mantenute, soprattutto da parte di chi dovrebbe difendere e tutelare la parte più debole della società italiana, hanno deciso di votare contro l’etablissement e le forze politiche tradizionali che li sostengono e rappresentano. 

Fonte: bancaditalia.it


giovedì 15 febbraio 2018

700 mila italiani in pensione dal 1982 e 470 mila dal 1980


Due pesi e due misure. Il sistema previdenziale italiano è diventato un coacervo d'ingiustizie e disuguaglianze tra chi è già in pensione e chi invece ci andrà nei prossimi anni

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da leggioggi.it
Fino al 1992 l’accesso alla quiescenza avveniva ad un'età compresa tra i 50 e i 60 anni, in alcuni casi addirittura a 40 anni. Quel sistema ha favorito diverse categorie di lavoratori. Basti pensare alle pensioni baby o ai prepensionamenti adottati per evitare il fallimento o per attuare il risanamento finanziario delle grandi aziende pubbliche come Ferrovie dello Stato, Poste italiane, ecc.. La politica assistenziale adottata fino ad allora dai governi del pentapartito (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito liberale, Partito socialdemocratico e Partito repubblicano) aveva un solo scopo: impedire alla Sinistra, allora guidata dal Partito comunista italiano, di accedere al governo del Paese. Con la caduta del muro di Berlino, avvenuta nel 1989, ogni ipotesi di riforma radicale del sistema economico capitalista è venuta meno e con essa la necessità di elargire benefici e rendite alle clientele politiche.
Foto da paolocirinopomicino.it
In particolare, con Tangentopoli è iniziata una nuova fase politica, quella del rigore nei conti pubblici. I tagli alla spesa pubblica però non hanno riguardato la politica e gli apparati istituzionali, bensì il welfare, vale a dire hanno colpito i ceti sociali medio - bassi. La riduzione degli investimenti pubblici, in particolare nel Sud, il taglio degli organici nelle amministrazioni locali e nella pubblica istruzione e la modifica delle modalità di erogazione delle indennità di quiescenza sono solo alcuni esempi. Le riforme delle pensioni approvate negli ultimi 25 anni hanno creato un sistema ‘mostruoso’. Da un lato ci sono circa 700 mila italiani che sono in pensione da oltre 35 anni e 470 mila da 37 anni e che percepiscono indennità legate alle ultime retribuzioni percepite, mentre, dall’altro lato, con la riforma Fornero avremo pensionati con indennità calcolate con il sistema contributivo, quindi nella maggior parte dei casi irrisorie e che andranno in pensione a quasi settant’anni, cioè ad un età che è di oltre 20 anni maggiore rispetto a quella di coloro che li hanno preceduti.

Elsa Fornero - (foto da oggi.it)
Com'è stato possibile produrre un’ingiustizia cosi abnorme? Iniquità realizzata, peraltro, da tecnici ed esperti del lavoro come Giuliano Amato, Lamberto Dini, Romano Prodi, Mario Monti ed Elsa Fornero. Tutti componenti di governi sostenuti anche dal Centrosinistra che, come sempre nei momenti difficili per la nostra Repubblica, si è posto come paladino e ’salvatore della Patria’, dimenticandosi, però, di tutelare gli 'ultimi' cioè coloro che dovrebbe difendere. Evidentemente chi ha governato e continua a governare, soprattutto i politici che si richiamano ai valori della Sinistra, non conoscono o fanno finta di non conoscere l’Italia e gli italiani, o almeno come vivono la gran parte di essi. Stare nei territori e tra la ‘gente’ non è solo un modo di dire da rispolverare nei giorni che precedono le elezioni, ma una necessità ineludibile per chi vuole praticare la ‘buona politica’.

Fonte: inps.it


lunedì 22 gennaio 2018

‘La disuguaglianza … risolta dai bambini’


‘Lan, vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di scarpe, ma non può comprarle a suo figlio, che vede una volta all’anno’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Crescono le ingiustizie e le disuguaglianze, a sostenerlo è il rapporto‘Ricompensare il lavoro, non la ricchezza’ pubblicato da Oxfam Italia. Nel 2017 ‘l’82% dell’incremento di ricchezza globale è finita nelle casseforti dell’1% della popolazione più ricca, mentre la metà più povera, ossia 3,7 miliardi di persone, non ha avuto nulla. Ogni due giorni nasce un nuovo miliardario, ma a farne le spese sono i più poveri’.


Il 20% più ricco della popolazione italiana deteneva a metà del 2017 il 66% della ricchezza nazionale. Nel periodo che va dal 2006 al 2016 il reddito disponibile lordo degli italiani più poveri è diminuito del 23,1%. L’incremento di ricchezza di azionisti e manager corrisponde ad un peggioramento dei salari e delle condizioni dei lavoratori.
I motivi delle crescenti disuguaglianze sono, secondo Oxfam, ‘la riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, l’esternalizzazione lungo le filiere globali, la massimizzazione ad ogni costo degli utili d’impresa’. A pagare il nostro benessere sono i più poveri. Una di queste è Lan, vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di scarpe, ma non può comprarle a suo figlio, che vede una volta all’anno’.
Le proposte indicate nel rapporto per ridurre le differenze sono una ‘maggiore equità sociale, mettere un tetto agli stipendi dei top manager, proteggere i diritti dei lavoratori, aumentare la spesa pubblica ed adottare una maggiore progressività fiscale’.

Fonte: oxfamitalia.org




sabato 20 gennaio 2018


‘Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande dolore e un silenzio enorme…’

Il lavoro dovrebbe essere un mezzo per realizzare le proprie capacità ed attitudini professionali, invece è, spesso, un luogo di fatica e sofferenza

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ingegneri.info
‘Andrea aveva 23 anni, tutti i giorni si faceva 80 chilometri per recarsi al lavoro. Il 20 giugno Andrea si alza alle 4 del mattino per essere in fabbrica alle 5. Alle 6,10 la pressa si ferma, Andrea d’istinto si sporge dentro ma all’improvviso la macchina si rimette in moto... Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande dolore e un silenzio enorme... manca la sua musica, la sua chitarra, la sua tromba...’, Morota  Gagliardoni Graziella, mamma di Andrea, morto sul lavoro. Dichiarata dai medici del reparto di terapia intensiva cardiochirurgica dell'ospedale San Raffaele di Milano la morte cerebrale del 61enne operaio dell'azienda Lamina di Milano. Da più di quarant'anni era dipendente dell'azienda ed uomo di fiducia dei titolari, ora in pensione, era rimasto nello stabilimento per formare un collega più giovane. Un lavoratore che 'amava il suo lavoro e ogni giorno dovevamo pregarlo di tornare a casa', ricordano i familiari. 
Yoko Ono e John Lennon - (foto da wikipedia.org)
Giancarlo Barbieri è il quarto operaio deceduto per l'incidente avvenuto nei giorni scorsi nell'azienda milanese. Nella stessa fossa che conteneva il forno per l’acciaio infestato dall’azoto hanno perso la vita il fratello Arrigo di 57 anni, l’operaio Giuseppe Setzu di 48 anni e l’elettricista di una dita esterna Marco Santamaria di 43 anni. Il giorno dopo, sotto gli occhi del padre, è morto, schiacciato dal tornio su cui era rimasta incastrata una manica del suo maglione, un giovane operaio 19enne di Rovato, in provincia di Brescia.
Questi sono gli ultimi episodi di una ‘mattanza’ che si ripete quotidianamente. E, nonostante gli obblighi sempre più stringenti per i datori di lavoro introdotti con il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro entrato in vigore nel 2008, i casi di morte e di malattie professionali rimangono una costante del nostro sistema produttivo. Il motivo è sempre lo stesso: l'esasperata ricerca del 'profitto'. I lavoratori su istruzione del ‘padrone’ o semplicemente di propria iniziativa, talvolta, eseguono la loro mansione senza rispettare le norme previste dai protocolli sulla sicurezza, che, è bene ricordarlo, sono obbligatori in tutti i luoghi di produzione. 
'Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza' scriveva John Lennon nel 1969, ma purtroppo troppo spesso esso si trasforma in tragedia. E tutte le precauzioni del mondo non basteranno ad evitarle, almeno fino a quando al centro dell’attività produttiva anziché il profitto e gli speculatori non ci saranno il lavoro ed i lavoratori. 

domenica 7 gennaio

Il Reddito di inclusione creerà disuguaglianze anche tra i poveri

Sono 75.885 le domande presentate per usufruire del Reddito di inclusione, oltre sei su dieci sono istanze inoltrate dei cittadini residenti nelle regioni del Sud 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da sinistrainrete.info
Il Rei è una misura a sostegno delle famiglie più povere e riguarda i nuclei con minori, disabili, donne in gravidanza a quattro mesi dal parto e over 55 disoccupati. L’importo può variare da un minimo di 187 euro fino ad un massimo di 485 euro mensili (5.824,80 l’anno). Possono usufruirne le famiglie che hanno un Isee inferiore ai 6.000 euro ed un patrimonio (esclusa la prima casa) non superiore a 20.000 euro ed un valore mobiliare non superiore a 6.000 euro. Il 64,7% delle domande presentate dall’inizio di dicembre ad oggi proviene dalle regioni del Mezzogiorno, il 35,3% da quelle del Centro-Nord. Questo significa che oltre sei richieste su dieci provengono da cittadini del meridione. Il maggior numero di domande sono state trasmesse dalla Campania con 16.686 (22%), dalla Sicilia con 16.366 (21,4%) e dalla Calabria con 10.606 (14,0%). Questi dati comunicati dall’Inps non sorprendono, anzi sono un’ulteriore dimostrazione della condizione di povertà in cui vive una parte consistente della popolazione del Sud dell’Italia. Inoltre, la ripresa economica sottolineata con tanta enfasi dal presidente del Consiglio e dai principali esponenti del Partito democratico è così limitata che anziché ridurre le distanze sociali li sta incrementando sia a livello territoriale che tra le diverse categorie.
Foto da possibile.com
Secondo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, le famiglie che dovrebbero beneficiare della misura sono circa settecentomila, dovrebbe interessare cioè ‘1,8 milioni di persone’ con la prospettiva di arrivare a luglio a circa ‘2,5 milioni di persone’. La cifra stanziata dal governo è di 1,7 miliardi, destinati a crescere fino a 2 miliardi l’anno, questo significa che in media saranno erogati circa 200 euro mensili. Per Tito Boeri è una somma insufficiente. ‘La soglia di povertà nelle grandi città del Nord – ha rilevato il presidente dell’Inps - è superiore agli 800 euro a persona, mentre quella nazionale è attorno ai 600 e che i poveri in Italia si stimano attorno ai 4,5 milioni’. Insomma, l’importo che sarà accreditato non solo non sarà adeguato per garantire una vita dignitosa a chi otterrà il contributo, ma esso non riguarderà tutti i poveri. Sembra un paradosso, ma il provvedimento creerà disuguaglianze anche tra gli indigenti. L’ingiustizia è ancora più odiosa se confrontiamo la condizione economica dei più bisognosi con quella di chi percepisce redditi e pensioni d’oro. In ogni caso queste forme di assistenza sono un’umiliazione ed una limitazione delle libertà per chi dovrà avvalersene. La povertà e l’esclusione sociale non si combattono con l’assistenzialismo, ma creando le condizioni che permettano a tutti di esercitare il diritto al lavoro sancito dall’articolo 4 della Costituzione italiana che, è bene ricordarlo, è entrata in vigore settant’anni fa.

Fonte: inps.it

 

lunedì 18 dicembre 2017

Vitalizi e pensioni d’oro, simboli di ingiustizie e disuguaglianze


Il sistema capitalistico favorisce lo sviluppo economico, ma comporta anche privilegi ed iniquità, ne sono due esempi i vitalizi e le pensioni d’oro 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Ex parlamentari che percepiscono il vitalizio
(foto da espresso.repubblica.it)
Le disuguaglianze tra le categorie sociali stanno crescendo per la diseguale distribuzione del reddito, ma anche per le modalità di erogazione e calcolo delle indennità  previdenziali. La mancata approvazione da parte del Parlamento della legge che intendeva limitare l’ammontare dei vitalizi degli ex parlamentari è un esempio di come il sistema non sappia autoregolarsi per correggere le iniquità. Ci sono ex deputati ed ex senatori che godono da decenni di indennità per oltre 5 mila euro netti al mese, mentre ci sono persone che sono costrette a vivere con pensioni di circa 500 euro al mese. Per non parlare dei futuri pensionati che andranno in quiescenza a quasi 70 anni e con indennità irrisorie. Inoltre, migliaia di ex dipendenti pubblici o ex manager di aziende private incassano ogni mesepensioni d’oro di oltre 10 mila euro. Il record spetta all’ex dirigente della Telecom, Mauro Sentinelli, che percepisce 91.337 euro al mese.
Mauro Sentinelli, ex manager Telecom, percepisce una pensione
d'oro di 91.337 euro al mese - (foto da ilsole24ore.com)
Eppure, per rendere il sistema più ‘giusto’, basterebbero poche e semplici regole. Innanzitutto mettere un limite alle indennità previdenziali.Inoltre, se un soggetto continua a lavorare ed ha un reddito adeguato perché deve percepire anche la pensione? Ci sono tanti lavoratori delle istituzioni, della politica, della televisione, dei giornali, etc... che continuano a svolgere la loro attività anche se sono in età avanzata e che, nonostante non abbiano bisogno di un sostegno economico, percepiscono, oltre alle indennità da lavoro, una o più pensioni. E’ una grande ingiustizia se confrontiamo queste situazioni con quelle di chi vive in condizioni di povertà assoluta, in Italia essi sono, secondo l’Istat, oltre quattro milioni e 598 mila individui. Non si tratterebbe di impedire, a chi vuole, di continuare a lavorare, ma di evitare che la pensione o le pensioni percepite diventino uno strumento di arricchimento, mentre quelle stesse risorse pubbliche potrebbero essere utilizzate per garantire una vita dignitosa a chi non lavora più o non può lavorare. La redistribuzione della ricchezza non è solo un  atto ‘etico’, ma anche una necessità del sistema economico. Se si vogliono evitare le crisi economiche occorre ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie, ma questo ai nostri politici ed alla nostra classe dirigente interessa poco.

Fonti: espresso.repubblica.it e ilsole24ore.com


mercoledì 6 dicembre 2017

Il 30% delle persone residenti in Italia è a rischio povertà o esclusione sociale


Con la ripresa economica cresce il reddito disponibile ed il potere d’acquisto delle famiglie, ma aumentano anche la disuguaglianza economica ed il rischio povertà o esclusione sociale 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da dire.it
I dati dell’indagine condotta dall’Istat sulle condizioni di vita, reddito e carico fiscale relativi al 2016 mostrano una ‘significativa’ crescita del reddito ‘associata ad un aumento della disuguaglianza economica’. Insomma i ricchi sono sempre più ricchi, mentre cresce il numero di coloro che vivono o rischiano di cadere in povertà. Il reddito netto medio annuo per famiglia è pari a 29.988 euro, circa 2.500 euro al mese, con un incremento percentuale del +1,8 in termini nominali e del +1,4 in termini di valore d’acquisto. Circa metà delle famiglie percepisce un reddito annuo di 24.522 euro, mentre nel Sud rimane, nonostante la crescita del +2,8%, a 20.557 euro, circa 1.713 euro mensili.
Matteo Renzi - (foto da agora24.it)
La crescita del reddito è diversa tra le categorie sociali.Per il 20% più ricco della popolazione l’incremento è maggiore, in particolare per i redditi derivanti da lavoro autonomo. Il rapporto ‘equivalente‘ tra quello percepito dal 20% della popolazione più ricca e il corrispondente più povero è aumentato da 5,8 a 6,3.L’Istat stima che il 30% delle persone residenti in Italia, vale a dire circa 18 milioni di individui, è a rischio povertà o esclusione sociale, percentuale in aumento rispetto al 2015 quando era pari al 28,7%. Nel Mezzogiorno la probabilità di cadere in una condizione d’indigenza e bisogno è del 46,9%, in crescita dal 46,4% del 2015, ed è in aumento anche nel Nord-ovest (21,0% da 18,5%) e nel Nord-est (17,1% da 15,9%), mentre è stabile nel Centro (25,1%). A rischio povertà o esclusione sociale sono soprattutto le famiglie numerose con cinque o più elementi (43,7%), la situazione peggiora anche per quelle con uno o due componenti. Quando si annunciano con enfasi i risultati positivi sull’incremento del Pil e dei posti di lavoro occorrerebbe ricordarsi anche di questi dati e del fatto che milioni d’italiani vivono in condizioni sociali difficili e che la ripresa economica anziché ridurre sta aumentando le disuguaglianze ed incrementando il divario economico e sociale tra il Centro-nord sempre più ricco ed il Sud sempre più povero ed assistito. I nostri politici invece di parlare di taglio delle tasse e di banche dovrebbero occuparsi di chi è disoccupato o vive con la pensione al minimo e fa fatica ad arrivare a fine a mese, mentre c’è chi continua ad arricchirsi e non sa che farsene del ‘superfluo’ che ha a disposizione.

Fonte: istat.it



venerdì 24 novembre 2017

Ipazia d’Alessandria, donna ‘martire della libertà di pensiero’


‘Ipazia rappresentava il simbolo dell'amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio cominciò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione’Margherita Hack

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Ipazia d'Alessandria, illustrazione del 1908
(Foto da wikipedia.org)
Gli atti di femminicidio hanno origini nella società patriarcale ed ancora oggi decine di migliaia di donne vengono assassinate o maltrattate dagli uomini. Ecco la storia di Ipazia, una donna che ebbe il torto di rivendicare la sua libertà e la sua indipendenza. Era l’otto marzo del 415 d.C. quando un gruppo di cristiani, i cosiddetti parabalani seguaci del vescovo d’Egitto Cirillo, ‘dall'animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo al patriarca e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo’. Matematica, astronoma e filosofa, Ipazia apparteneva all’aristocrazia intellettuale ed aveva tutti i requisiti per succedere al padre nell’insegnamento nella comunità di Alessandria. Titolare di una cattedra pubblica, impartiva lezioni ’a chiunque volesse ascoltarla sul pensiero di Platone e di Aristotele e di altri filosofi’. Inoltre, com’era usanza in quei tempi, teneva riunioni ‘private’ nella sua dimora. La rabbia di Cirillo scoppiò proprio con la scoperta di questi incontri. Ipazia non anticipò, come sostengono alcuni storici, la rivoluzione copernicana, ma pagò con la morte il fatto che era una donna carismatica e popolare che 'osò' vivere al centro della vita culturale di Alessandria. Una persona colta assassinata per la sua intelligenza, il suo prestigio, la sua moralità e coerenza, per la sua capacità di influire sulla vita politica e sociale. E per gli 'ominicchi' non c’è un pericolo più grande di una donna che rivendica la sua libertà e la sua indipendenza.

Fonti: wikipedia.org e aforismi.meglio.it


sabato 21 ottobre 2017

Ius soli, Delrio e lo #scioperodellafame


Lo Ius soli è una legge necessaria e di civiltà, ma rischia di diventare un’altra occasione per produrre ingiustizie e disuguaglianze

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da rischiocalcolato.it
Il ministro delle Infrastrutture ed altri esponenti del Partito democratico hanno aderito allo sciopero della fame per sensibilizzare i parlamentari sulla necessità di approvare la nuova legge sulla cittadinanza. L’iniziativa della ‘staffetta’ è partita nelle settimane scorse a seguito delle difficoltà che sta incontrando l’iter legislativo del disegno di legge sullo Ius Soli.Attualmente in Italia vige il principio del diritto di sangue, la cittadinanza si acquisisce cioè solo se si è figli di cittadini italiani ovunque essi siano nati, mentre non la si ottiene per diritto di suolo. Questo significa che i figli d’immigrati che nascono in Italia sono stranieri anche se i loro genitori vivono e lavorano regolarmente nel nostro Paese. Questi ‘non italiani’ che sono cresciuti ed hanno studiato o studiano nelle nostre scuole e sono a tutti gli effetti emiliani, veneti, siciliani, ecc.. possono ottenere lo status di cittadini solo al compimento del diciottesimo anno di età. La nuova legge, che difficilmente sarà approvata dal Parlamento in questa legislatura, ridurrebbe i tempi per acquisire il diritto (Ius soli temperato) e consentirebbe ai bambini sotto i 12 anni giunti in Italia di ottenerlo anche se non sono nati nel nostro Paese (Ius soli culturae). La prima disposizione prevede, infatti, l’acquisizione della cittadinanza per diritto di suolo, ma solo dopo che i nati nel nostro Paese hanno compiuto un ciclo completo di studi e su richiesta del genitore o del tutore e con la possibilità di rinunciarvi al compimento della maggiore età. Nella seconda ipotesi invece è sufficiente che i bambini con età inferiore ai dodici anni svolgano un ciclo di studi completo, anche se essi non sono nati nel nostro Paese. Questa parte del disegno di legge è per certi aspetti incomprensibile. La cittadinanza potrà essere richiesta solo dopo un ciclo di studi completo, in pratica ad un’età vicina ai diciotto anni o poco prima, in sostanza è una procedura simile alla legge già in vigore. Allora non se ne comprende l’utilità, serve solo a complicare la normativa, a renderla facinorosa ed a dare una motivazione a coloro che sono contrari al disegno di legge.
Graziano Delrio (foto da liberoquotidiano.it)
I legislatori italiani hanno la cattiva abitudine di complicare le regole con distinguo e mediazioni che, spesso, rendono l’ordinamento giuridico astruso e di difficile interpretazione. Il risultato è una normativa ‘manipolabile’ che favorisce le ingiustizie e le disuguaglianze. Chi fa parte del Governo anziché fare scioperi di un giorno potrebbe impegnarsi di più e proporre una legge che introduca lo Ius soli (diritto di suolo) senza se e senza ma. Invece no, si preferisce compattare  la maggioranza parlamentare con irragionevoli mediazioni politiche, il cui risultato finale è quello di complicare le regole con contorte elaborazioni giuridiche e linguistiche. Il rischio, in questo caso, è di mettere nelle mani di persone senza scrupoli decine di migliaia di disperati disposti a tutto pur di ottenere un diploma o una certificazione professionale. Chi non ha la memoria corta ricorderà le inchieste sui ‘diplomifici’ e sulle malefatte di tante scuole private e regionali, forse è il caso di non ripeterci.  



sabato 14 ottobre 2017

‘Nel mondo 6 milioni di bambini muoiono ogni anno per cause facilmente curabili o prevedibili’


Ogni trentotto secondi un bambino sotto i cinque anni muore per malnutrizione, a sostenerlo è Save The Children 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da savethechildren.it
Nel mondo ogni anno muoiono di fame circa tre milioni di bambini, uno ogni trentotto secondi, ad affermarlo è l'associazione Save The Children. Circa cinquantadue milioni di minori soffrono della carenza di cibo, mentre 155 milioni sono ‘malnutriti cronici’ e rischiano gravi conseguenze fisiche e cognitive. Due minori su cinque vivono in stato di ‘povertà multidimensionale’, cioè sono esclusi dall’accesso al cibo, ai servizi igienico-sanitari e all’educazione. Nel Corno d’Africa e in Kenya sette milioni di bambini soffrono per la carenza d’acqua e di sostanze nutritive. Le principali cause della malnutrizione sono i conflitti ed i cambiamenti climatici. Nel 2016 le guerre e la fame hanno determinato la fuga di 65,6 milioni di persone e 122 milioni di bambini, che soffrono di denutrizione, vivono in zone di conflitti. Dal 1990 sono stati fatti importanti passi in avanti riducendo il numero di bambini che soffrono di malnutrizione cronica a 155 milioni, erano 254 milioni. Ma - sottolinea il comunicato dell’Onlus - l’obiettivo di eliminare il fenomeno entro il 2030 difficilmente potrà essere raggiunto. Ed è per questo che Save the Children ha lanciato, tramite i principali operatori telefonici, una campagna di raccolta fondi per sostenere i progetti dell’Associazione in Egitto, Etiopia, India, Malawi, Mozambico, Nepal e Somalia. Dal 12 ottobre al 5 novembre chiunque potrà contribuire inviando dai cellulari un SMS al numero 45544 dal valore di 2 euro o da 2 a 5 euro da rete fissa.

Fonte: savethecildren.it


sabato 16 settembre 2017

Fao, cresce la fame nel mondo


Se qualcuno ancora non avesse compreso il motivo per cui milioni di persone emigrano, il rapporto pubblicato dall’Onu lo spiega in modo chiaro ed inequivocabile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da fao.org
La fame nel mondo è in aumento, essa colpisce l’11% della popolazione mondiale, cioè 815 milioni di individui, 38 milioni in più rispetto al 2015. Ad affermarlo è la relazione annuale delle Nazioni Unite sul mondo, la sicurezza alimentare e l’alimentazione pubblica. L’aumento è dovuto – sottolinea il rapporto - alla proliferazione dei conflitti ed ai cambiamenti climatici. Inoltre, diverse forme di malnutrizione minacciano la salute di milioni di persone in tutto il mondo. 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni sono sottosviluppati ed altri 52 milioni soffrono di deperimento cronico.
Le distribuzioni di seme della Fao aiutano gli abitanti della
Nigeria a recuperare i loro mezzi di sussistenza
(foto da fao.org)
La più alta percentuale di bambini insicuri e malnutriti sono concentrati nelle zone di conflitto. ‘Ciò ha spinto le campane di allarme che non possiamo permetterci di ignorare: non finiremo la fame e tutte le forme di malnutrizione entro il 2030 a meno che non affrontiamo tutti i fattori che minano la sicurezza alimentare e l'alimentazione. La protezione delle società pacifiche e inclusive è una condizione necessaria a tal fine’, hanno dichiarato nella loro prefazione comune alla relazione i capi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e dell'agricoltura (FAO), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), il Fondo per i bambini delle Nazioni (UNICEF), il Programma alimentare mondiale (WFP) e l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). 

Fonte fao.org



giovedì 14 settembre 2017

La generazione tradita


Altro che i bamboccioni nati negli anni Ottanta, la generazione che ha avuto meno di quello che ha dato è quella dei baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Anni Settanta - Manifestazione politica
(foto da it.wikipedia.org)
Tra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta c’è stato in Italia il boom economico che è coinciso con un notevole incremento demografico. Il picco c’è stato nel 1964 con oltre un milione di nuove nascite. L’incremento demografico, come sanno bene gli economisti, è una causa e, nello stesso tempo, una conseguenza dello sviluppo economico. Quegli anni sono stati caratterizzati dalla ricostruzione, dalle famiglie numerose, dalla diffusione degli elettrodomestici e delle utilitarie, dalle aule delle scuole elementari piene di bambini italiani, dagli adolescenti impegnati a conseguire un ‘pezzo di carta’ e dai giovani che, dopo aver fatto il servizio militare, hanno continuato gli studi per conseguire la laurea, unica condizione questa per poter accedere a ruoli sociali fino ad allora appannaggio solo della classi medio - alte.
Anni Settanta - Manifestazione femminista
(foto da milanoartexpo.com)
Una generazione combattiva che ha contribuito in modo determinante alla modernizzazione del Paese.Le lotte studentesche ed operaie degli anni Settanta hanno obbligato la classe dirigente di allora ad approvare importanti riforme come lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, i decreti delegati sulla scuola, la scala mobile, ecc. Cambiamenti che hanno favorito il diffondersi di una condizione di benessere anche tra le classi medio - basse nonostante l’iperinflazione ed il terrorismo. Gli studenti, i contadini meridionali e gli operai delle fabbriche del Nord (in gran parte anch’essi del Sud) hanno cambiato l’Italia agricola e bigotta del secondo dopoguerra e, riducendo le distanze sociali tra le classi, hanno reso la società più giusta ed equa. Esaurita quella spinta ideale in politica e propulsiva nel sistema economico sono  iniziati i problemi. Il consumismo ha cristallizzato la società e le ingiustizie sono tornate ad aumentare. Per quelli che allora erano giovani sono iniziati gli anni delle incertezze e per molti di essi gli anni dei lavori precari. Il flusso migratorio dal Sud verso il Nord è tornato ad aumentare, ma stavolta i nuovi lavoratori non hanno le valige di cartone ma viaggiano in aereo e con il trolley. In gran parte sono laureati, in particolare sono insegnanti delle scuole superiori che pur di avere un’occupazione certa sono emigrati lasciando, nonostante siano in gran parte ultracinquantenni, famiglie ed amici. 
Anni Settanta - Manifestazione sindacale
(foto da lavocedinomas.org)
La condizione sociale delle classi meno abbienti è peggiorata con la crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2007. Il rigore nei conti pubblici è stato una necessità ineludibile e la riforma del sistema pensionistico pur essendo ingiusta è stata inevitabile. L’obiettivo era ed è quello di rimediare ai privilegi concessi nei decenni precedenti. La legge Fornero ha allungato a sessantasei anni e sette mesi l’età minima per andare in pensione, una delle più alte in Europa. Con il passare degli anni questa soglia continuerà a crescere automaticamente. Inoltre, l’indennità sarà calcolata in base ai contributi versati in tutta la carriera lavorativa. In sostanza, in violazione dell’articolo 53 della Costituzione, quello sulla capacità contributiva, chi ha avuto un lavoro continuo ed un reddito adeguato percepirà una pensione altrettanto adeguata, chi invece avrà lavorato con discontinuità e con indennità misere continuerà a rimanere un ‘poveraccio’. Le distinzioni di classe non solo si accentueranno ma rimarranno fino all’ultimo giorno di vita. A pagare il conto della ‘cattiva politica’ degli anni Ottanta e Novanta e delle distorsioni del sistema capitalistico saranno soprattutto i baby boom che hanno fatto l’Italia moderna, quelli dello sviluppo economico, della lotta al terrorismo, delle buone riforme del sistema giuridico e sociale. Quelli che oggi stanno mantenendo in equilibrio il sistema previdenziale ma che in cambio avranno pensioni misere e per giunta ad un’età avanzata. Insomma, una generazione tradita ancora una volta per la sua generosità ed il suo impegno sociale.



mercoledì 30 agosto 2017

Discorso dell' ex presidente Uruguay José Pepe Mujica - Human 2015 italiano



venerdì 28 luglio 2017

Dieci meridionali su cento vivono in condizioni di povertà assoluta


Le anticipazioni sul Rapporto Svimez 2017 segnalano un rischio povertà in Campania, Calabria e Sicilia triplo rispetto al resto del Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da orizzonte48.blogspot.com
Nel 2016 il Prodotto interno lordo nelle regioni meridionali è cresciuto dell’1%, in misura superiore rispetto al Centro-Nord (+0,8%), tuttavia, segnala lo Svimez, con questi ritmi il Mezzogiorno tornerà ai livelli pre-crisi solamente nel 2028, vale a dire dieci anni dopo al resto del Paese. Tra il 2001 ed il 2016 il Pil è diminuito al Sud del -7,2%, mentre è cresciuto nell’aria Ue a 28 del 23,2%. Il divario tornerà a crescere nei prossimi due anni, nel 2017 il Pil dovrebbe aumentare dell’1,1% al Sud e dell’1,4% nel Centro-Nord, mentre nel 2018 si prevede un aumento dello 0,9% al Sud e dell’1,2% al Centro-Nord. Lo scorso anno gli occupati sono cresciutinel Mezzogiorno di 101mila unità, ma restano inferiori di 308mila unità rispetto al 2008 e circa dieci meridionali su cento vivono in condizioni di povertà assoluta.
Foto da quotidianodelsud.it
Negli ultimi quindici anni la popolazione del Sud è diminuita di 393mila unità, mentre nel Nord è aumentata di 274mila unità. Nello stesso periodo sono emigrati dal Mezzogiorno 1,7 milioni di persone, i rientri sono stati circa un milione, con una perdita netta di 716mila persone, di questi il 72,4% sono giovani con meno di 34 anni e 198mila sono laureati.
Le ragioni di questo divario economico e sociale sono indicate nel Rapporto: bassi salari, scarsa produttività, carente competitività e una limitata accumulazione della ricchezza. Inoltre, nel 2016 la spesa pubblica in conto capitale nel Sud ha toccato il punto più basso della sua storia, pari a tredici miliardi di euro, cioè lo 0,8% del Pil.
Per lo Svimez occorre flessibilità nel bilancio statale per rilanciare gli investimenti pubblici e porre il Mediterraneo al centro delle politiche nazionali. Il problema è lo sviluppo economico per il quale il Mezzogiorno non deve essere visto come un peso, ma come un’opportunità di crescita. Negli ultimi anni diversi interventi sono stati fatti dal Governo, ma, rileva lo Svimez, solo le ZES (Zone Economiche Speciali), attraendo investimenti esterni nell’area, possono favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale e ridurre il divario economico e sociale tra le diverse aree del Paese.



martedì 11 luglio 2017

L’1% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza globale


Il rapporto pubblicato dal Boston Consulting Group sulla ricchezza finanziaria conferma la crescita delle disuguaglianze e del divario economico tra le classi sociali
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Silvio Berlusconi e Flavio Briatore
(foto da notizie.virgilio.it)
Il numero di famiglie milionarie è cresciuto del 7%, a sostenerlo è la società di consulenza finanziaria BCG che ha pubblicato la 17esima edizione del report ‘Global Wealth 2017: Transforming the Client Experience’. Secondo il rapporto sono 18 milioni i nuclei familiari, cioè l’1% del totale, che posseggono il 45% della ricchezza globale. In Italia sono 307mila le famiglieche hanno investimenti in titoli di Stato, azioni, depositi e altri strumenti finanziari superiori ad un milione di dollari. L’1,2% delle famiglie possiede il 20,9% della ricchezza finanziaria, cioè 4.500 miliardi di dollari. Questa somma è destinata ad aumentare nei prossimi anni, nel 2021 il numero delle famiglie dovrebbe crescere fino a 433mila unità, con un percentuale che salirà all’1,6 e che possiederà una ricchezza del 23,9%, vale a dire quasi un quarto del totale.
Foto da fanpage.it
Insomma, cresce la concentrazione della ricchezza ed aumentano le disuguaglianze economiche e sociali.Nel mondo ci sono persone e famiglie che utilizzano per i loro bisogni solo una piccolissima parte della loro ricchezza ed altre che invece non posseggono nulla e che vivono con meno di un dollaro al giorno o addirittura muoiono di fame. Basterebbe impiegare il ‘superfluo’ della risorse finanziarie a disposizione dei super ricchi per consentire una vita dignitosa a miliardi di persone, invece si perpetuano le ingiustizie e le disuguaglianze.
In Italia sarebbe sufficiente un prelievo una tantum sui grandi patrimoni per risolvere i problemi di finanza pubblica che, negli ultimi anni, i vari governi di Centrosinistra si sono affannati a tenere sotto controllo, senza peraltro riuscirvi. Il debito pubblico continua a crescere ed oggi è di circa 2.200 miliardi di euro. Sarebbe sufficiente una piccola parte del ‘troppo’ che i nostri Peperoni posseggono per risanare il bilancio pubblico e consentire allo Stato politiche di investimenti che diano lavoro e dignità a chi oggi è disoccupato, precario o è un pensionato al minimo.
L’ingiustizia è anche nelle opportunità. Le possibilità di ascesa sociale non sono uguali per tutti, anzi oggi sono quasi del tutto inesistenti per i ceti meno abbienti. E’ assai probabile, infatti, che il figlio di un operaio diventi egli stesso un operaio o che il figlio di un disoccupato non riesca a trovare lavoro o diventi un precario, mentre il figlio di un magnate non si pone neanche il problema, l’unica sua preoccupazione è quella di spendere 'a piene mani' il patrimonio famigliare, ma per quanto possa sperperare sarà sempre una piccola parte del totale.


sabato 8 luglio 2017

Voucher o libretto di famiglia?


Lunedì prossimo l’Inps attiverà la procedura per i nuovi contratti a prestazione occasionale e per i cosiddetti libretti di famiglia che sostituiranno i vecchi voucher, ma per la Cgil ad essere cambiato è solo il nome 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da quifinanza.it
Il Governo per impedire l’abuso dei voucher e soprattutto per evitare il referendum abrogativo proposto dalla Cgil li ha aboliti sostituendoli con il cosiddetto libretto di famiglia e con i nuovi contratti a prestazione occasionale, ma, realmente, quanto sono nuovi questi strumenti e quanto invece sono un semplice maquillage? Per capire meglio vediamo quali sono le principali novità.
Il libretto di famiglia è destinato alle persone fisiche ‘non nell’esercizio di un’impresa o di una libera professione’ e potrà essere utilizzato per retribuire i piccoli lavori domestici, l’assistenza domiciliare a bambini, persone anziane o ammalate o affette da disabilità e per l’insegnamento privato supplementare. All’inizio del 2018 saranno inclusi anche i servizi di baby sitting. Il compenso sarà corrisposto tramite un titolo simile ai voucher. L’importo di 10 euro l’ora comprenderà 8 euro di compenso al lavoratore, 1,65 euro di contributi Inps, 0,25 centesimi per l’assicurazione all’Inail e 0,10 centesimi di oneri gestionali.
Foto da lavoroediritti.com
Il contratto di prestazione occasionale riguarda invece la pubblica amministrazione, i liberi professionisti, le imprese, le associazioni ed altri enti di natura privata. Il datore di lavoro dovrà registrare se stesso ed il lavoratore, versare a titolo di anticipo quanto dovuto con il modello F24 o altra modalità di pagamento elettronico e comunicare l’avvenuta prestazione. A pagare il lavoratore, il quindicesimo giorno del mese successivo allo svolgimento della prestazione, provvederà l’Inps accreditando la somma netta sul conto corrente del lavoratore, sulla sua carta di credito o tramite bonifico domiciliato presso tutti gli uffici della Poste Italiane.
Il compenso minimo giornaliero non potrà essere inferiore a trentasei euro che corrispondono a quattro ore di lavoro. Per eventuali ore aggiuntive l’indennità non potrà essere inferiore a 9 euro l’ora, a cui si aggiungono 2,97 euro di contributi Inps, 0,32 centesimi per l'assicurazione all’Inail e l’1% come oneri di gestione.
Il tetto annuo per ciascun lavoratore, anche cumulando più datori di lavoro, è di 5.000 euro che si riducono a 2.500 euro se il prestatore lavora per lo stesso utilizzatore. Un altro limite è quello orario, infatti, la durata annua massima è di 280 ore. Inoltre, i lavoratori hanno diritto al riposo giornaliero e settimanale secondo quanto previsto in generale dall’ordinamento. I compensi non sono soggetti a tassazione Irpef e non incidono sullo stato di disoccupazione o inoccupazione. Nel settore agricolo possono essere utilizzati solo i titolari di pensione di vecchiaia o d’invalidità, i giovani con meno di 25 anni, i disoccupati o i percettori di reddito di inclusione o di altra prestazione di sostegno al reddito.


martedì 4 luglio 2017

Boeri: ‘Chiudere le porte agli immigrati ci costerebbe 38 miliardi’


‘I lavoratori che arrivano in Italia bilanciano in parte il calo delle nascite’, a sostenerlo è il presidente dell’Inps Tito Boeri nella ‘Relazione Annuale’ presentata stamane a Montecitorio  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tito Boeri - (foto da lapresse.it)
‘Chiudere le porte ci costerebbe 38 miliardi per i prossimi 22 anni’. Si avrebbero, infatti, trentacinque miliardi in meno di uscite, ma nello stesso tempo settantatre in meno di entrate. Insomma, gli immigrati non solo non ci rubano il lavoro, ma producono ricchezza e pagano tasse e contributi indispensabili per mantenere l’attuale sistema di previdenza sociale. ‘I lavoratori che arrivano in Italia – sottolinea Boeri - sono sempre più giovani, la quota degli under 25 è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015, e pertanto si tratta di 150.000 contribuenti in più l’anno, che bilanciano in parte il calo delle nascite’.
Barcone di immigrati - (foto da tg24.sky.it)
Con le ultime riforme la copertura degli ammortizzatori sociali è aumentata, ma la strada per garantire una vita dignitosa ai più deboli è ancora lunga. ‘Manca in Italia – sostiene il presidente dell’Inps – uno strumento universalistico per chi non ce la fa comunque a trovare lavoro al termine della durata massima dei sussidi di disoccupazione e, più in generale, per tutti coloro che finiscono in condizioni di indigenza’.
Nella relazione si evidenzia anche un uso distorto della Cig. Delle 350mila imprese che hanno usufruito della Cassa integrazione durante la crisi 2008 – 2016 hanno utilizzato questo strumento per più di un anno e un quinto di esse per cinque anni. ‘Difficile pensare – rileva Boeri – che si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese. Tutto questo ci dice che utilizziamo per periodi molto lunghi strumenti concepiti per affrontare crisi temporanee’.
Infine Boeri, oltre a rivendicare la gestione virtuosa dell’Istituto: ’Nel 2016 è costata 3.660 milioni di euro contro i 4.531 del 2012, all’indomani dell’incorporazione di Inpdap ed Enpals’ e poiché delle 440 prestazioni erogate dall’Istituto solo 150 di natura pensionistica, propone di cambiare nome all’Ente in: ‘Istituto nazionale della protezione sociale’.


mercoledì 28 giugno 2017

Papa Francesco: ‘Le pensioni d’oro sono un’offesa al lavoro’


Le frasi pronunciate da Papa Francesco davanti ai delegati al congresso della Cisl sono un programma politico che la classe dirigente italiana dovrebbe prendere seriamente in considerazione. Ecco le più significative

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Papa Francesco - (foto da repubblica.it)
‘Le pensioni d`oro sono un`offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni’.
‘E' una società stolta e miopequella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga un’intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti’.
'Un nuovo patto sociale, che riduca le ore di lavoro di chi è nell'ultima stagione lavorativa, per permettere ai giovani, che ne hanno il diritto-dovere, di lavorare’.
‘Sindacato è una bella parola che proviene dal greco syn-dike, cioè giustizia insieme. Non c'è giustizia insieme se non è insieme agli esclusi. Il buon sindacato rinasce ogni giorno nelle periferie, trasforma le pietre scartate dell'economia in pietre angolari’. 
‘Il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell'economia, dell'impresa. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato perché non lo vede abbastanza lottare nelle periferie esistenziali. Non lo vede lottare tra gli immigrati, i poveri, oppure perché la corruzione è entrata nel cuore di alcuni sindacalisti. Ma col passare del tempo ha finito per somigliare troppo ai partiti politici, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l'azione dentro le imprese perde forza ed efficacia’.
‘Dobbiamo pensare anche alla sana cultura dell'ozio, di saper riposare. Questo non è pigrizia, è un bisogno umano. Per questo, insieme con il lavoro deve andare anche l'altra cultura. Perché la persona non è solo lavoro. Da bambini non si lavora, e non si deve lavorare. Non lavoriamo quando siamo malati, non lavoriamo da vecchi’.


lunedì 19 giugno 2017

Nati e cresciuti in Italia, ma per la legge sono stranieri


‘Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno’, Paulo Coelho

di Pulvino Giovanni (@PulvinoGiovanni)

Foto da associazionecittadinidelmondo.it
Sono nati in Italia, frequentano le scuole italiane, parlano l’italiano, vivono regolarmente in Italia da almeno 5 anni, insomma sono italiani eppure per il nostro ordinamento giuridico sono stranieri. Hanno la pelle scura, gli occhi a mandorla, una religione diversa da quella cattolica ed i nonni all’estero, ma si sentono e sono a tutti gli effetti italiani anche se per la nostra legge sono solo immigrati con un regolare permesso di soggiorno.Nei secoli passati anche noi, da stranieri, ci siamo sentiti americani, tedeschi, belgi, argentini, ed ancora oggi quando emigriamo ci sentiamo inglesi, francesi o spagnoli. Siamo cittadini del mondo, ma non accettiamo che ‘altri’ siano cittadini italiani, perché?
Foto da sestodailynews.net
La legge n. 91 del 5 febbraio 1992 prevede lo ‘ius sanguinis’, la cittadinanza è trasmessa, cioè, solo dai genitori ai figli. Gli stranieri nati in Italia hanno diritto alla cittadinanza solo se, raggiunta la maggiore età, dichiarino entro un anno di volerla acquisire e se, nello stesso tempo, abbiano risieduto nel nostro Paese ininterrottamente e legalmente fino ad allora.
Il disegno di legge in discussione in Parlamento introduce due nuove modalità per ottenere la cittadinanza: lo ‘ius soli temperato’ (diritto legato al territorio) e lo ‘ius culturae’ (diritto legato all’istruzione). La prima procedura stabilisce che almeno uno dei genitori stranieri dei nati in Italia abbia un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo e, in secondo luogo, che sia residente legalmente nel territorio nazionale da almeno 5 anni. Con lo ‘ius culturae’ possono ottenere la cittadinanza i minori stranieri nati in Italia o entrati nel nostro territorio entro il 12esimo anno di età e che abbiano ‘frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali’. Anche i ragazzi arrivati in Italia tra i 12 ed i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza, ma solo dopo aver risieduto nel nostro Paese per almeno 6 anni e che, nello stesso tempo, abbiano frequentato un ‘ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo’. In entrambe le due nuove modalità deve essere fatta una dichiarazione di volontà del genitore o tutore del minore. In assenza potrà farlo il diretto interessato entro il suo 20esimo compleanno. Inoltre, è prevista la possibilità di rinunciare alla cittadinanza entro 20 anni.
In Italia ci sono attualmente un milione di minori stranieri, di questi634.592 potrebbero avere la cittadinanza dopo l’approvazione del disegno di legge grazie allo ‘ius soli temperato’ e 166.008 grazie allo ‘ius culturae’. Ogni anno potrebbero beneficiarne circa 58.500, di questi circa 50mila nati in Italia ed altri 10mila nati all’estero.

venerdì 14 aprile 2017

Reddito di inclusione sociale per metà dei poveri e gli altri?


Firmato a Palazzo Chigi il Memorandum d’intesa sul Reddito di inclusione. I decreti attuativi saranno approvati entro aprile e riguarderanno circa due milioni di persone, ma gli italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta sono molti di più

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da secondowelfare.it
‘Oggi è un primo risultato ma è la prima volta che l'Italia si dota di uno strumento universale’, ha dichiarato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. ‘La crisi – ha sottolineato il Premier - che abbiamo attraversato, la più grave dal dopo-guerra, ci ha lasciato un incremento della povertà, ci sono 1,5 milioni di famiglie povere. Chi governa deve riconoscere il problema e tra i meriti dell'Alleanza c'è il merito di aver alimentato un atteggiamento esigente verso questo problema’.
Per Susanna Camusso, segretaria della Cgil, il reddito di inclusione è ‘un passo importante anche sul piano del metodo: quello di riconoscere l’Alleanza contro la povertà che da anni sta proponendo una scelta sul tema inclusione e non solo sussidi. Si tratta di una scelta per uscire davvero dalla trappola della povertà, per costruire processi di inclusione e di lavoro che sono poi quelli fondamentali per avere una prospettiva di vita. Certo, le risorse sono ancora insufficienti (2 miliardi di euro) a determinare che questo sia un processo universale, ma intanto pensiamo di aver messo la prima pietra’. 
Mensa dei poveri (Foto da cislbrescia.it)
Secondo l’Istat gli italiani poveri sono oltre 4 milioni e 598 mila individui. La misura prevista dal Governo riguarderà meno della metà delle famiglie indigenti. Pertanto, se non ci sarà un incremento delle risorse finanziarie una parte consistente di bisognosi continuerà a vivere in condizioni di povertà assoluta.  Il risultato sarà paradossale: anche tra gli ‘ultimi’ si creerà una condizione di disuguaglianza. Poveri che beneficeranno del Reis (Reddito d’inclusione sociale) e poveri che, invece, continueranno a vivere in una condizione d’indigenza economica e sociale.
Per accedere al beneficio monetario bisognerà non avere un reddito ISEE (Indicatore di situazione economica equivalente) superiore ai 6 mila euro, maggiore a quello previsto per il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) stabilito a 3 mila euro. L’importo del Reis sarà calcolato sulla differenza tra il reddito disponibile e la soglia di riferimento ISR (indicatore della situazione reddituale) che è la parte reddituale dell’Isee. Ad esso verranno sottratte le somme delle altre misure assistenziali percepite dal nucleo familiare, ad eccezione dell’indennità di accompagnamento. Nel decreto legislativo sarà prevista una struttura nazionale permanente di affiancamento alle amministrazioni territoriali per garantire un’applicazione uniforme del Reis.

lunedì 20 marzo 2017

Il vescovo di Locri: ‘il lavoro non lo vogliamo dalla ndrangheta’


Le scritte apparse sul muro del vescovado della cittadina calabrese dimostrano che il fenomeno mafioso è ancora fortemente radicato sul territorio e che la strada da fare per estirparlo è ancora lunga e piena di ostacoli

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il manifesto della Giornata in ricordo delle vittime della mafia
(da libera.it)
Dopo la visita di ieri del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sono apparse due scritte sul muro del vescovado di Locri, dove risiede il vescovo Francesco Oliva: ‘Più lavoro meno sbirri’ e ‘Don Ciotti sbirro’. Entrambe le frasi sono state cancellate stamani dagli operai del Comune.
Sergio Mattarella e Don Ciotti
(foto da quotidiano.net)
‘L’arroganza’ mafiosa ‘si coglie in ripetuti comportamenti di chi si pone al di sopra della legge. Lo Stato si faccia sentire e tuteli sempre di più chi ha il coraggio di denunciare’ ha dichiarato al Corriere della Sera il vescovo Oliva. Ed ha aggiunto: ‘Da queste parti il bisogno di lavoro è fondamentale, su questo problema vogliamo richiamare l’attenzione per il bene di tutti, ma noi il lavoro non lo vogliamo dalla ‘ndrangheta’, vogliamo un lavoro degno che rispetti i diritti degli operai non il lavoro per il qual si ricorre al capo pastore, al capo cantiere o al boss di turno’.
Monsignor Francesco Oliva
(foto da corrierelocride.it)
Domani nella città calabrese si svolgerà la 22ª Giornata in ricordo delle vittime della mafia. ‘Non poteva esserci luogo più indicato che la Locride per questa giornata. Questa - aveva dichiarato monsignor Oliva alla conferenza stampa di presentazione della manifestazione - è una terra che ha sofferto e soffre. Questa terra è ancora bagnata di sangue e la Chiesa non può che stare vicino a chi soffre, ai familiari delle vittime innocenti. La Locride piange ancora i suoi figli’. 
‘La città di Locri – ha detto Don Ennio Staminale, coordinatore regionale di Libera – è stata scelta per ricordare le vittime innocenti delle mafie non solo perché c’è stata una richiesta dai familiari, dal territorio e dal vescovo, ma anche perché ci è sembrato giusto che in un territorio che soffre in maniera particolare per la presenza della ndrangheta si dia un messaggio di speranza e si evidenzi che proprio in questo territorio si sta lavorando per il cambiamento’.

venerdì 10 marzo 2017

Approvato il Ddl, ma la povertà non dovrebbe esistere


‘Approvata la legge sulla #povertà. Un passo avanti per venire incontro alle famiglie in difficoltà. Impegno sociale priorità del Governo’ ha commentato su twitter il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ma la povertà non dovrebbe esistere

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da orizzonte48.blogspot.com
L’unico articolo del Ddl approvato in via definitiva dal Senato delega il Governo ad adottare entro sei mesi i relativi decreti legislativi per introdurre il reddito di inclusione, per riordinare le prestazioni assistenziali e per rafforzare gli interventi dei servizi sociali. I principi ed i criteri previsti dalla delega stabiliscono che il REI oltre ad essere unico in tutto il territorio nazionale è subordinato all’adesione ad un progetto personalizzato di inclusione. Sarà necessario anche il requisito di durata minima di residenza nel territorio nazionale. Inoltre, poiché le risorse finanziarie non saranno sufficienti per tutti i poveri, i beneficiari del provvedimento (circa 400.000) saranno individuati tenendo conto della composizione del nucleo familiare oppure deve trattarsi di donne in stato di gravidanza o di disoccupati con età superiore a 55 anni.
Foto da bin-italia.org
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha definito il provvedimento ‘un passo storico’ perché introduce una misura ‘universale’ che tiene conto del bisogno economico e non più soltanto l’appartenenza a singole categorie come disoccupati, anziani, ecc… Il REI, prosegue il ministro ‘rappresenta il pilastro fondamentale del Piano nazionale per la lotta alla povertà’. Esso si fonda ‘sul principio dell’inclusione attiva, ovvero sul vincolo di affiancare al sussidio misure di accompagnamento capaci di promuovere il reinserimento nella società e nel mondo del lavoro di coloro che ne sono esclusi’.
Secondo gli ultimi dati Istat in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila famiglie, vale a dire 4,6 milioni di individui, il numero più alto dal 2005 ad oggi. In una società evoluta e sviluppata dove ci sono individui miliardari che posseggono gran parte del patrimonio (secondo il rapporto pubblicato da Oxfam sarebbero appena l’1% della popolazione mondiale), la povertà non dovrebbe esistere. Invece, da sempre convivono due categorie d’individui: una che vive in condizioni di miseria ed un’altra che ‘naviga’ nel benessere e spesso nel superfluo.  
Il Ddl approvato dal Parlamento italiano è un ottimo provvedimento, ma di certo non è sufficiente ad eliminare la povertà. In futuro saranno necessari interventi ben più incisivi. L’obiettivo dovrà essere quello di garantire il diritto al lavoro ed un reddito adeguato, tale, cioè, da consentire a tutti un’esistenza dignitosa senza bisogno di ricevere assistenze o elemosine che di fatto mantengono lo status quo.

martedì 7 marzo 2017

Poesia di Madre Teresa di Calcutta dedicata alla festa della donna


Ritraoo di Madre Teresa di Calcutta
(wikipedia.org)
Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni…
Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è a colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!

    (Fonte: investireoggi.it)

martedì 7 marzo 2017

Origini del ‘Woman’s day’


La giornata internazionale della donna si tenne per la prima volta negli Stati Uniti d'America nel 1909, in alcuni paesi europei nel 1911 ed in Italia nel 1922

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Manifestazione femminista - 1977
(foto da wikipedia.org)
Fu chiamata ‘Woman’s day (il giorno della donna) la conferenza tenutasi il 3 maggio 1908 a Chicago per discutere delle condizioni e dello sfruttamento delle donne nei luoghi di lavoro. Da allora il Partito socialista americano indicò di ‘riservare l’ultima domenica di febbraio all’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile’.  Il Woman’s day è così diventato la giornata per manifestare le rivendicazioni sindacali e politiche delle donne.
In alcuni paesi europei la giornata della donna fu celebrata, per la prima volta, il 19 marzo 1911. Secondo Aleksandra Kollontaj quella data fu scelta perché in Germania ‘il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto delle donne’.
Foto da wikipedia.org
L’8 marzo del 1917 le donne di San Pietroburgo guidarono una grande manifestazione che chiedeva la fine della prima guerra mondiale. Quella protesta incoraggiò altre manifestazioni che portarono alla caduta dello zarismo. La seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenutasi a Mosca, fissò all’8 marzo la ‘Giornata internazionale dell’operaia’.
Secondo alcuni la data fu scelta invece per ricordare la morte di centinaia di operaie avvenuta nell’incendio scoppiato nel 1908 in una fabbrica di camicie a New York, ma in realtà quella tragedia avvenne il 25 marzo del 1911.
Nel 1977 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite propose a ciascun paese di dichiarare un giorno all’anno ‘Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale’. In Italia, con la fine della seconda guerra mondiale, l’8 marzo fu celebrato in tutto il Paese e vide la comparsa, per la prima vota, delle mimose, che fioriscono nei primi giorni di marzo e che da allora sono il simbolo della festa delle donne.

(Fonte: wikipedia.org)

lunedì 16 gennaio 2017

Oxfam: ‘I ricchi sono sempre più ricchi’


Il rapporto sulle disuguaglianze pubblicato da Oxfam mostra come ‘la metà più povera del pianeta è ancora più povera di quanto calcolato in passato’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da oxfamitalia.org
In Italia l’1% della popolazione possiede il 26% della ricchezza nazionale, che è oltre 30 volte la ricchezza del 30% più povero. I primi 7 miliardari italiani possiedono più ricchezza del 30% più povero. Tra il 1998 ed il 2011, il 10% più ricco ha accumulato un incremento superiore a quello della metà più povera degli italiani. L’1% della popolazione mondiale possiede dal 2015 più ricchezza del restante 99%.Otto persone possiedono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) dei 3,6 miliardi di persone più povere del mondo, mentre 1 persona su 10 vive con meno di 2 dollari al giorno. Secondo Oxfam ‘1/3 della ricchezza dei miliardari è dovuta a eredità, mentre il 43% a relazioni clientelari.’ Ed ancora: ‘Ovunque nel mondo i governi continuano a tagliare le tasse su corporation e individui abbienti’.
Foto da forexinfo.it
Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia, ha dichiarato: “I servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione subiscono tagli, ma a multinazionali e super ricchi è permesso di eludere impunemente il fisco. La voce del 99% rimane inascoltata perché i governi mostrano di non essere in grado di combattere l’estrema disuguaglianza, continuando a fare gli interessi dell’1% più ricco: le grandi corporation e le élites più prospere”. Agire contro le disuguaglianze è difficile, ma non impossibile. Secondo Oxfam sono necessarie politiche occupazionali che garantiscono un salario dignitoso, un sistema di tassazione più progressivo, servizi pubblici di qualità, uno sviluppo che rispetti l’ambiente, un reale ascolto dei bisogni dei cittadini e non solo degli interessi di alcune élites privilegiate. Se si continuerà con queste politiche economiche nei prossimi 25 anni potremmo avere, conclude il rapporto, ‘il primo‘trillionaire’, vale a dire un individuo che possiederà più di 1000 miliardi di dollari, una cifra che si consuma solo spendendo un milioni di dollari al giorno per 2.738 anni’.

martedì 6 dicembre 2016

Istat: nel 2015 sono aumentate la povertà e la distanza reddituale tra ricchi e poveri


Le stime pubblicate dall’Istat sulla povertà nel 2015 ed i livelli di reddito delle famiglie italiane nel 2014, evidenziano il crescente divario tra ricchi e poveri e tra Nord e Sud del Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da dazabeonews.it
Secondo le stime dell’Istatgli italiani che sono a rischio di povertà (19,9%), grave deprivazione materiale (11,5%) o bassa intensità di lavoro (11,7%) sono il 28,7%. Il dato è sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (28,3%), anche se è aumentato il rischio povertà, passato dal 19,4% al 19,9%. A livello territoriale la situazione più grave è nel Mezzogiorno. Le persone coinvolte nel Sud sono salite dal 45,6% al 46,4%. La quota è in aumento anche al Centro (dal 22,1% al 24%), mentre al Nord si registra un calo sia pure minimo (dal 17,9% al 17,4%).
da avantionline.it
Le persone più a rischio (43,7%) sono nelle famiglie con cinque o più componenti. Nel 2014 il reddito medio annuo per nucleo famigliare è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2013 (29.472 euro ossia 2.546 euro mensili). Metà delle famiglie ha percepito un reddito netto non superiore a 24.190 euro (2.016 euro mensili), la media scende a 20.000 euro (circa 1.667 euro mensili) al Sud. Secondo le stime dell’Istat il 20% delle famiglie ha percepito il 37,3% del reddito totale, mentre il 20% più povero solo il 7,7%. Inoltre dal 2009 al 2014 il reddito in termini reali è calato di più per le famiglie meno abbienti, ampliando così la distanza tra le famiglie più ricche, il cui reddito è passato dal 4,6 a 4,9 volte quello delle più povere.

martedì 25 ottobre 2016

Terroni, migranti o profughi, per i razzisti del Nord Italia non c’è differenza


Negli anni Sessanta e Settanta ad essere trattati con intolleranza erano i ‘terroni’, ora sono i migranti. Mentre nelle coste del Sud Italia gli arrivi sono continui, a Gorino, nel ferrarese, fanno le barricate per respingere 12 donne e otto bambini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gorino - (foto da lanuovaferrara.gelocal.it)
‘L'ipotesi di ospitare dei profughi a Gorino non è più in agenda’. A dirlo è stato Michele Tortora, prefetto di Ferrara, dopo le barricate antiprofughi, fatte dai residenti, che ieri hanno impedito l'arrivo di 12 donne profughe nel piccolo centro del ferrarese. ‘Ha prevalso la tranquillità dell'ordine pubblico – ha aggiunto il prefetto - non potevamo certo manganellare le persone. Questo fenomeno o si gestisce insieme con buonsenso oppure non si gestisce. Il mio primo pensiero dopo quello che è successo va alle 12 donne oggetto di contestazione. 
Milano anni Settanta
(foto da mentecritica.net)
Non oso pensare a quello che hanno passato nella traversata del Mediterraneo, al viaggio in pullman fino a Bologna e poi fino a Gorino e posso immaginare cosa possono aver provato quando si sono trovate davanti quelle barricate. E' stato un episodio tristissimo.Mi avrebbe fatto piacere che i cittadini di Gorino avessero visto di cosa si trattava, se avessero avuto cognizione dei termini del problema forse le cose sarebbero andare diversamente’. 
Ecco come i napoletani accolgono i migranti
(foto da repubblica.it)
Durissimo il commento delministro dell'Interno Angelino Alfano: ‘Di fronte a 12 donne, delle quali una incinta, organizzare blocchi stradali non fa onore al nostro Paese.Poi certo tutto può essere gestito meglio, possiamo trovare tutte le scuse che vogliamo, ma quella non è Italia. Quel che è accaduto non è lo specchio dell'Italia. Non m’interessa se la protesta sia stata organizzata o meno io sto a quello che vedo e quello che vedo è qualcosa che amareggia e che non è lo specchio dell'Italia’.
Ed ancora: ‘Il nostro Paese sono i ragazzi di Napoli che aiutano i soccorritori sul molo quando arrivano i migranti, o il medico di Lampedusa Pietro Bartolo che non guarda a orari’. Dopo la strage di Lampedusa ‘l'Italia poteva scegliere se girarsi dall'altra parte o essere un paese coraggioso. E noi - ha concluso Alfano - abbiamo scelto di essere l'Italia della fatica e del coraggio. anche sapendo che così facendo si sarebbero persi voti’.

lunedì 17 ottobre 2016

In Italia 4,6 milioni di poveri, al Sud gli italiani indigenti superano gli stranieri


Nel Mezzogiorno gli italiani che, nel 2015, si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas sono stati il 66,6 %, il doppio degli stranieri. Si è invertito anche il vecchio modello di povertà, oggi i più indigenti non sono gli anziani ma i giovani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da tuttosu.virgilio.it
Le persone costrette a lasciare le proprie case a cause di guerre, conflitti e persecuzioni sono state, nel 2015, oltre 65 milioni. In Europa il numero di profughi giunti via mare è stato quattro volte superiore a quello dell’anno precedente. I migranti sbarcati nelle nostre coste lo scorso anno sono stati 153.842. Le persone che hanno fatto domanda di asilo sono state 83.970. Di fronte a questa situazione la politica europea risulta ‘frammentata’ ed ‘inadeguata’. A sostenerlo è la Caritas nel suo ‘Rapporto 2016 su povertà ed esclusione sociale in Italia e alle porte dell’Europa’.
Foto da caritas.it
Secondo i dati Istat in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila famiglie, vale a dire 4,6 milioni di individui, il numero più alto dal 2005 ad oggi. La condizione di povertà assoluta è quella di chi non riesce ad accedere ai beni e servizi necessari per una vita dignitosa. In questa situazione si trovano soprattutto le famiglie che vivono nel Mezzogiorno e quelle con due o più figli minori o nuclei familiari stranieri e quelli in cui il capofamiglia è in cerca di un’occupazione. Inoltre, oggi la povertà assoluta è inversamente proporzionale all’età, aumenta cioè al diminuire di quest’ultima. Penalizza soprattutto i giovani in cerca di prima occupazione. Il Rapporto cita anche i dati raccolti presso i Centri di Ascolto della Caritas o collegate con esse. Il peso degli stranieri continua ad essere maggioritario (57,2%), ma nel Mezzogiorno la percentuale di italiani è stata, nel 2015, del 66,6%. Al Nord la media delle persone ascoltate è stata del 34,8%, al Centro del 36,2%. L’indagine della Caritas si conclude con una serie di proposte. Tra queste un piano pluriennale di contrasto alla povertà e di politiche tese a contrastare la disoccupazione, soprattutto giovanile, ed ancora, l'attivazione di politiche inclusive e di accoglienza dei migranti e l'apertura di canali legali di ingresso nell’UE. 
‘La cifra totale di 4,6 milioni di poveri, più che raddoppiata rispetto all’inizio della crisi, 8 anni fa, non è compatibile con i doveri di un Paese tra i più sviluppati al mondo’. Così la presidente della Camera Laura Boldrini, nel messaggio per la Giornata contro la povertà. ‘La povertà è come una macchia scura che si allarga nella società italiana e resta ancora senza risposta la diffusa domanda di un reddito di dignità’, malgrado varie proposte di legge. ‘Mi auguro – conclude Laura Boldrini - che Governo e Parlamento trovino la strada’.

venerdì 14 ottobre 2016

Non ci può essere crescita economica senza ridurre le disuguaglianze


Eugenio Scalfari in un editoriale su repubblica.it sostiene la necessità della ‘patrimoniale’ perché essa ‘attenua le diseguaglianze ed incita occupazione e consumi’  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Eugenio Scalfari - (Foto da huffintonpost.it)
La crescita economica è determinata dall’incremento dei consumi e degli investimenti. I primi crescono aumentando le retribuzioni più basse o creando nuovi posti di lavoro. Questi ultimi dipendono dagli investimenti sia pubblici che privati. Lo Stato e gli enti locali possono farlo solo incrementando le entrate tributarie oppure il debito pubblico. Ovviamente il presupposto indispensabile per attuare politiche di ‘deficit spending’ è un debito sovrano sostenibile, eccessivi ed ulteriori disavanzi del bilancio sarebbero pericolosi e potrebbero provocare il default com’è avvenuto in Grecia, in Argentina, ecc.. 
Foto da wallstreetitalia.com
Dal 2011 in Italia l’unica alternativa ‘pubblica’ praticabile per favorire la crescita economica è la redistribuzione della ricchezza.L’ipotesi, non nuova, è stata formulata da Eugenio Scalfari in un suo editoriale su repubblica.it. Il ragionamento del giornalista romano è semplice ed è il seguente: sulle buste paga dei lavoratori gravano contributi previdenziali per il 9,19% e sui datori di lavoro per il 23,81%. L’ammontare totale del cosiddetto cuneo fiscale è di circa 300 miliardi di euro l’anno. Secondo Scalfari occorre ridurre questo prelievo di almeno il 30%, vale a dire di circa 80 miliardi che lo Stato dovrebbe fiscalizzare sui redditi superiori a 120 mila euro annui. Una sorta di patrimoniale che ‘attenua le diseguaglianze e incita occupazioni e consumi’.
Vignetta da documentazione.info
Poichè lo Stato italiano è obbligato a limitare la spesa pubblica (sia perché non può incrementare il suo debito sovrano, sia perché le sue politiche economiche spesso sono inefficienti o di natura assistenziale) non resta che incentivare gli investimenti dei privati. Con la globalizzazione molte imprese hanno delocalizzato all’estero, hanno cioè trasferito la produzione nei Paesi dove la pressione fiscale è minore e il costo del lavoro è più conveniente. Secondo Scalfari per indurre le aziende private ad investire, creare lavoro ed incrementare i consumi è indispensabile ridurre le tasse sul lavoro.L’argomentazione è logica, ma resta un dubbio: basterà la riduzione del cuneo fiscale per indurre le imprese italiane e straniere ad incrementare gli investimenti nel nostro Paese?
Inoltre, in questo ragionamento non c’è nessun riferimento alla Questione meridionaleLa disoccupazione ed il sottosviluppo non sono in tutto il Paese, ma solo nelle regioni del Sud. Tornare ad investire nel Meridione non sarebbe proprio una cattiva idea. E’ solo una questione di scelte politiche e pertanto, se si vuole una ‘vera’ crescita Pil, è necessario che l’annosa questione delle disuguaglianze economiche tra le diverse aree del Paese torni al centro del dibattito politico.

lunedì 8 agosto 2016

#Nessunotocchicaino: nel 2015 eseguite almeno 4.040 condanne a morte, in aumento rispetto al 2014


I Paesi che hanno deciso di abolire la pena di morte sono oggi 160, ma le sentenze eseguite sono in aumento. A dirlo è il rapporto pubblicato dall’associazione Nessuno tocchi Caino

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da corriere.it
I Paesi o i territori che per legge o di fatto hanno abolito la pena di morte sono 160. Di questi 104 sono totalmente abolizionisti, sei solo per i crimini ordinari ed altrettanti sono quelli che attuano una moratoria, mentre sono 44 i Paesi che non eseguono sentenze da almeno 10 anni o che si sono impegnati ad abolire la pena di morte.
Foto da wikipedia.org
Al 30 giugno del 2016 i Paesi dov’è ancora in vigore la pena capitale sono diminuiti a 38 dai 54 del 2005. Nonostante ciò nel 2015 le esecuzioni sono aumentate a 4.040 rispetto alle 3.576 del 2014, ma sono diminuite rispetto alle 5.375 condanne eseguite nel 2008. L’aumento avvenuto nell’ultimo anno è dovuto al crescente numero di esecuzioni avvenute in Iran, Pakistan ed Arabia Saudita.
Il Nebraska nel maggio del 2015 è diventato il diciannovesimo Stato della federazione americana ad aver abolito la pena di morte, mentre in altri 4 Stati i Governatori hanno sospeso le esecuzioni. Lo scorso anno e nei primi sei mesi del 2016, altri 43 Paesi hanno abolito la pena di morte o hanno deciso la moratoria. Scriveva Cesare Beccaria nel 1764 nei Dei delitti e delle pene: Parmi un assurdo che le leggi, che sono l´espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall´assassinio, ordinino un pubblico assassinio’.

mercoledì 3 agosto 2016

Stalking e femminicidi, ormai è un ‘bollettino di guerra’


Dal 2015 ad oggi oltre novemila donne sono state vittime di violenze e 1260 di stalking, quest’anno gli omicidi sono già 61 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da libertaegiustizia.it
L’inasprimento delle pene non frena il reato di femminicidio. Rispetto al passato sempre più donne trovano il coraggio di denunciare, anche se si calcola che siano solo il 10% del totale. La maggior parte delle violenze, è bene precisarlo, avvengono all’interno della famiglia. Le nuove norme stanno facendo emergere un fenomeno che per tanto, troppo tempo è rimasto nascosto tra le mura domestiche, ma esse non sono sufficienti a fermare i maltrattamenti.
In genere i comportamenti violenti sono preceduti da minacce e molestie che si ripetono nel tempo sino a sfociare, in taluni casi, nell’assassinio. Gli omicidi avvengono con crudeltà ed è sempre più frequente l’uso dell’acido o di sostanze infiammabili.
Stamane Nicola Piscitelli, cinquantacinque anni, si è presentato alla stazione dei carabinieri di Santa Maria Capua Vetere per costituirsi. Ai militari ha confessato di aver ucciso a coltellate la sua compagna Rosaria Lentini.
Ieri l’assassino di Vania, quarantasei anni di Lucca, data alle fiamme dall’uomo con cui aveva avuto una relazione.
Nel febbraio scorso, Paolo Pietropaolo ha dato fuoco alla sua compagna perché aveva una relazione con un altro uomo. La giovane di Pozzuoli è stata ricoverata in gravissime condizioni.
Foto da ansa.it
Nel bresciano, il 20 novembre scorso, un uomo di origini indiane ha dato fuoco alla moglie solo perché non gli andava bene il modo con cui si vestiva.
Il 9 giugno di quest’anno Vincenzo Paduano ha strangolato e poi bruciato Sara Di Pietrotantonio studentessa di ventidue anni. La sua unica colpa è stata di essersi rifatta una vita con un altro uomo.
Il mese scorso, a Tuglie (Le), Alezandru Edec Ionuf, romeno di ventiquattro anni, ha dato fuoco alla sua compagna davanti ai figli di uno e tre anni. La donna ha riportato ustioni gravi su tutto il corpo.
Questi uomini non amano le loro donne, le vogliono possedere. Sono ‘ominicchi’ che non accettano di essere lasciati o di vederle felici con un altro compagno. In loro c’è una naturale predisposizione alla violenza, quello che provano non è amore, è odio verso un individuo che non possono più controllare. Ed è per questo che le leggi non bastano a fermare il fenomeno. E’ un fatto culturale che si combatte con l’educazione alla tolleranza, al rispetto della vita e della dignità di tutti gli esseri umani, senza distinzione alcuna.
Pietro Grasso - (foto da europaquotidiano.it)
Il presidente del senato Piero Grasso così ha commentatogli ultimi omicidi: ‘Da uomo fatico a spiegarmi cosa possa spingere ad usare una tale brutalità, a covare così tanto odio nascondendosi dietro presunti sentimenti quali l'amore, il dolore per una storia che finisce, la disperazione. Niente di tutto questo: spero che non si usino più, raccontando queste storie, termini ambigui e giustificatori come raptus, gelosia, disagio, rifiuto. Sono solo squallidi criminali e schifosi assassini’.  Ed ancora: ‘C'è un grande lavoro da fare, tutti insieme, per sradicare i resti di una cultura maschilista e possessiva che ancora permea la nostra società. Stare insieme è una sfida quotidiana: uomini e donne non si appartengono, si scelgono ogni giorno. Liberamente’.


martedì 28 giugno 2016

Unicef, 69 milioni di bambini rischiano di morire

Entro il 2030 sessantanove milioni di bambini con meno di 5 anni rischiano di morire, a denunciarlo è l’Unicef nel rapporto annuale sulla Condizione dell’infanzia nel mondo 2016 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da unicef.it
Il rapporto, pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed intitolato ‘La giusta opportunità per ogni bambino’, evidenzia gli importanti progressi che sono stati fatti ma anche che il rischio di morte per milioni di bambini è ancora molo alto. I decessi avvenuti per diverse malattie come pertosse o Aids sono scesi da 5,4 milioni del 2000 a 2,5 milioni del 2015. Tra il 2000 ed il 2014 i morti per morbillo sono diminuiti dell’80% e, dal 1990, il numero di coloro che vivono in uno stato di assoluta povertà si è dimezzato. Tuttavia, questi progressi non sono ancora sufficienti. I bambini più poveri hanno il doppio delle possibilità di morire rispetto a quelli più ricchi e 750 milioni di donne si sposeranno da bambine. Un neonato in Sierra Leone ha una probabilità di morire 30 volte superiore a quella di uno nato nel Regno Unito. 
Foto da commons.wikipedia.org
Nell’Africa Sub Sahariana due bambini su tre vivono in condizioni di povertà estrema. Se le cose non cambieranno, denuncia l’Unicef, entro il 2030 in quest’area del mondo si verificheranno metà dei morti dei 69 milioni ipotizzati dal rapporto, oltre 30 milioni di bambini non frequenterà le scuole e di essi nove su dieci vivranno in condizioni di povertà estrema.
Il quadro per il 2016 è, secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite, preoccupante se ‘i governi, i donatori, le organizzazioni internazionali e del mondo economico non accelereranno i propri sforzi a favore dei bisogni di questi bambini. Investire sui più svantaggiati - sottolinea il rapporto - può dare benefici nell'immediato e nel lungo periodo. La diseguaglianza non è permanente o insormontabile’.

sabato 19 dicembre 2015


Volontariato e Protezione civile fanno il pieno di consensi

Il no profit rappresenta ormai un settore trainante della società italiana e costituisce parte integrante delle infrastrutture capaci di guidare le politiche sociali nel nostro Paese 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Nel 2015, secondo un’indagine condotta da Eurispes, le organizzazioni che hanno ottenuto i maggiori consensi sono state quelle del Volontariato e della Protezione civile. Le prime hanno fatto registrare un consenso del 78,8%, in crescita rispetto al 2014 del 4,3%, mentre la Protezione civile ha fatto registrare un aumento dell’11,8%, con un totale del 70%.
Il volontariato è ormai diffuso su tutto il territorio nazionale. Le 44mila organizzazioni sono presenti soprattutto nelle regioni più popolose: il 55% di esse si trova in Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna. In rapporto al numero di abitanti sono sette le regioni che contano una OdV ogni 100 abitanti, il numero più elevato si registra in Friuli Venezia Giulia e in Valle d’Aosta.
Dal punto di vista giuridico il 67% di esse è costituita da associazioni non riconosciute, mentre l’83% ha la qualifica di onlus. La maggior parte delle organizzazioni opera con meno di sedici volontari e solo il 10% ha una base associativa numerosa, con più di 500 soci.
I soggetti più utilizzati nelle denominazioni sono ‘famiglia’, ‘anziani’ e ‘genitori’, mentre le parole più adoperate sono ‘amici’, ‘insieme’ e ‘sorriso’, tutti termini che indicano il sostegno, la condivisone e la solidarietà.
Ai primi posti nelle mission ci sono la promozione, l’assistenza, la donazione, la tutela e l’educazione. La maggior parte delle onlus opera nel campo della sanità e dell’assistenza sociale. Numerose anche le associazioni che si occupano di cultura, sport e ricreazione. Oltre 2.000 sono quelle impegnate nella difesa del territorio, sia come servizio di protezione civile, sia nella tutela dell’ambiente. 

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